La Nuova Sardegna

la storia 

Picchiata e umiliata dal marito e dal figlio «Vivo in un incubo»

di Giulia Bardanzellu
Picchiata e umiliata dal marito e dal figlio «Vivo in un incubo»

SASSARI. Per oltre 30 anni è rimasta intrappolata in un matrimonio e in una vita fatti di violenze, fisiche e psicologiche, culminate in una aggressione subita dal marito e dal proprio figlio. Il...

25 novembre 2017
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SASSARI. Per oltre 30 anni è rimasta intrappolata in un matrimonio e in una vita fatti di violenze, fisiche e psicologiche, culminate in una aggressione subita dal marito e dal proprio figlio. Il primo la picchiava, il secondo brandiva un coltello. Come nel peggiore degli incubi. Ma a dicembre del 2016 il gup ha deciso che la richiesta del pubblico ministero Emanuela Greco non doveva essere accolta e ha emesso una sentenza di non luogo a procedere nei confronti di entrambi.

Eppure la violenza sul corpo di Carla (il nome è di fantasia) è stata certificata in ospedale: denti rotti, lividi, contusioni, stato di choc. «Quando mi sono decisa a denunciare non è servito a niente». Sono le parole che Carla ha scritto qualche giorno fa su un social network per condividere la sua profonda amarezza. E paura, perché qualcuno che le ha fatto del male è là fuori e anche una denuncia per stalking contro ignoti non ha avuto seguito in tribunale: «Non ho la certezza che siano loro a mettermi immagini religiose sulla macchina, o a infilare pubblicità di agenzie funebri dentro il garage. Però avverto la loro presenza, ogni giorno».

La storia che Carla racconta, quasi accartocciata sulla sedia dello studio del suo avvocato Graziella Meloni, è un viaggio nell’orrore che parte da lontano. «Era un vicino di casa – racconta – conosciuto quando andavo ancora al liceo. I miei non lo volevano ma più mi dicevano di non frequentarlo e peggio facevo». Carla non fiuta il pericolo. Lui aggredisce ferocemente un amico ma lei lo vede come un cavaliere che si batte per amore e non come un paranoico con manie di possesso. «Ero giovane, oggi lo so, ho capito», dice quasi a scusarsi di tanta ingenuità. Lui continua a cercarla, le chiede di sposarlo. Lei è innamorata, ha vent’anni, gli dice di sì: «Già dal viaggio di nozze ha iniziato a picchiarmi senza motivo. Diceva che ero un mulo da raddrizzare. Ci ho creduto».

Lui le costruisce attorno un muro che la isola dal resto del mondo: «Eravamo solo io e lui – dice Carla – e sua madre, dalla quale dovevo andare ogni giorno. Una sera ho detto di no. Mi ha strattonato, ho sbattuto il viso, mi ha rotto due denti e fratturato il naso». Quella notte Carla la passa a letto, livida. «Domani ti porto da tua madre, dille che sei caduta» le dice lui. Gli anni trascorrono tra botte e umiliazioni.

«Nel 2010 – continua Carla – dopo una difficile operazione alla caviglia ho passato 40 giorni sulla sedia a rotelle. Poi lui si è adirato per il rumore delle ruote. Mi ha tappato la bocca e mi ha spinto con violenza contro il muro». Anche il figlio di Carla inizia a cambiare e lei è sempre più sola. Nel 2013 sfida se stessa partecipando alla Corsa in rosa. Quando torna a casa sono liti, scherno e mortificazioni. Mentre prova a recuperare le forze necessarie per fuggire via, succede il peggio. «Una sera rientro dalla fisioterapia. Lui è sulla porta, mi spinge in camera. Mi picchia per almeno due ore. Non è da solo perché un’altra persona è lì, in piedi con un coltello in mano. Ricordo che pregavo e lui mi picchiava più forte. Fino a che non si sono detti “può bastare” E hanno smesso». Quell’altra persona era suo figlio.

Dolorante e sotto choc va al piano di sotto dai vicini che danno l’allarme. Il marito non si perde d’animo, parla con i carabinieri, li convince che Carla è pazza. «Non solo non li hanno arrestati ma addirittura mi invitavano a tornare in quella casa». È il 2014, Carla denuncia ed entra in protezione grazie al centro antiviolenza.

L’avvocato Meloni scuote il capo: «La cosa che mi toglie il sonno è che dopo il mancato rinvio a giudizio mi aspettavo che il pubblico ministero – che ha sentito la mia assistita per 20 ore durante un interrogatorio di tre giorni – impugnasse la sentenza, ma così non è stato».

Per Carla, che oggi è una studentessa universitaria, con un sorriso grande e fragile, la giustizia non arriverà più. «Devo ringraziare il mio avvocato e il servizio 1522 (il numero contro la violenza di genere ndr)– dice – perché mi hanno aiutato a uscire da questo incubo». Ma loro, i suoi aguzzini, sono ancora liberi.

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