La Nuova Sardegna

Alice, da bersaglio del bullismo a testimonial: la Boldrini la invita alla Camera

di Silvia Sanna
Alice Masala durante il suo intervento alla Camera il 25 novembre
Alice Masala durante il suo intervento alla Camera il 25 novembre

La 18enne ha parlato durante la seduta speciale a Montecitorio nella Giornata contro la violenza sulle donne

30 novembre 2017
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SASSARI. Quel giorno era rimasta immobile, seduta sulla poltroncina rossa. Non era la solita conferenza, il bla bla che nulla aggiunge. Quel giorno sul palco del teatro Comunale di Sassari c’era una ragazza che raccontava un tormento simile al suo. Era la storia di una adolescente emarginata, ghettizzata, perseguitata da un gruppo di bulli. Alice Masala aveva sentito qualcosa muoversi dentro di sé: un rumore secco come un tappo che salta all’improvviso, un palloncino che esplode. Allora è vero che si può guarire, aveva pensato mentre copriva gli occhi lucidi. Erano le prime lacrime dopo molti anni.

Quel giorno non era salita sull’autobus insieme ai compagni di scuola. Era andata di corsa in un giardino pubblico e si era seduta su una panchina. Sul telefono aveva scritto un lunghissimo messaggio e senza rileggerlo neppure una volta l’aveva spedito a Luca Pagliari, il giornalista che sino a pochi minuti prima era sul palco del Teatro insieme alla ragazza vittima di bullismo. Era il 12 febbraio del 2016. Quasi due anni dopo, il 25 novembre 2017, Alice, 18 anni, si è alzata da un’altra sedia rossa e davanti alla presidente della Camera Laura Boldrini ha raccontato la sua storia: nella giornata contro la violenza sulle donne ha spiegato come si fa a risorgere dopo essere morte dentro.

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Alice, come si sconfigge il bullismo?

«Lo sconfiggi quando capisci che nelle tenebre devi accendere la luce. A me la luce si è accesa quel giorno in Teatro, grazie a quella ragazza e a Luca Pagliari».

Perché eri diventata vittima dei bulli?

«Non lo so, me lo chiedo ancora. So che quando avevo 12 anni ed ero in seconda media ho smesso di avere amici. Tanti hanno smesso di salutarmi, quando arrivavo nel cortile della scuola tutti si spostavano per farmi passare. E bisbigliavano, maschi e femmine».

Che cosa dicevano?

«Ho sentito solo una volta una ragazza che diceva “c’è la servetta”. Ho capito molto dopo che cosa intendeva dire».

Cioè?

«Qualcuno aveva detto in giro che mandavo messaggi ai ragazzi scrivendo “se vuoi ti faccio questo e quello”. Insomma, per loro ero una servetta dei maschi, una poco di buono, una specie di malata di sesso. Avevano detto che ero anche rimasta incinta».

Tu che cosa hai fatto?

«Io ho scelto il silenzio. Mi sono chiusa in una bolla. Mi dicevo “diamo tempo al tempo”, si stancheranno. Ho smesso di parlare, stavo tutto il giorno con le cuffiette ad ascoltare musica. Le toglievo solo in classe e quando facevo sport. Non volevo sentire nulla. Ho finito le Medie e sono andata alle Superiori. Ma non è servito cambiare scuola perché sono iniziati i messaggi, le chat».

Che cosa scrivevano?

«Mi insultavano, mi chiamavano puttana, dicevano che di gente come me il mondo non ha bisogno, “meglio se muori”».

Quante persone scrivevano nelle chat?

«Dalle 30 alle 40, maschi e femmine, avevano 14-15 anni. Ex compagni di scuola, fratelli, amici di fratelli, persone mai viste».

Neanche allora hai pensato di chiedere aiuto?

«No, mi sono chiusa ancora di più. Anche con mia madre. In seconda superiore ho cambiato scuola, una classe dove non conoscevo nessuno. Ho iniziato a respirare».

Ma il tormento c’era sempre.

«Si e l’ho capito quel giorno in Teatro. Dovevo liberarmi, sentivo un bisogno impellente. Ho scritto a Luca, lui mi ha chiamata. Voleva raccontare la mia storia ma prima doveva parlare con mia madre. Allora l’ho fatto anche io».

Come ha reagito tua mamma?

«Le ho letto d’un fiato il messaggio che avevo mandato a Luca senza mai guardarla negli occhi. Mi ha abbracciato, ha capito in un attimo il mio silenzio, il mio viso spento, le cuffiette incollate alle orecchie».

E ora?

«La mia storia è diventata un docufilm, si chiama Dodicidue, cioè 12 febbraio 2016. Insieme a Luca sono stata in tante scuole e teatri in tutta Italia, molti ragazzi vittime di bullismo mi chiamano e mi mandano messaggi: “Grazie a te ho trovato il coraggio di parlare con i miei». Per me è la vittoria più grande».

E qualche giorno fa eri ospite del presidente della Camera Laura Boldrini.

«La presidente aveva visto il docufilm ed è rimasta colpita. Mi ha invitato a partecipare alla seduta alla Camera in occasione della giornata contro la violenza sulle donne. Un onore, una emozione immensa anche perché ho parlato dopo avere sentito storie terribili, di donne che hanno subìto violenze psicologiche e fisiche, che hanno rischiato di morire».

Tu potevi morire?

«Forse si, perché non so per quanto tempo avrei potuto sopportare ancora, in silenzio, dentro la mia bolla».

Ora com’è la vita?

«È bella, senza filtri. È sentirsi liberi e non giudicati. È la vita che mi merito».
 

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