La Nuova Sardegna

Il padre di Pinna al teste: mi raccomando, dì la verità

di Giusy Ferreli

Pressioni sul fratello di Alessandro Taras che puntò il dito contro Cubeddu 

02 dicembre 2017
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NUORO. «Mi raccomando, dì tutta la verità». Il messaggio, rivolto al testimone di uno dei processi più complessi e controversi degli ultimi tempi poco prima della sua deposizione, è la cifra di una vicenda dai contorni drammatici. Che si dipana nelle aule di giustizia tra un clima inaudito di tensione.

È accaduto ieri mattina, all’esterno dell’aula del tribunale di Nuoro che ospita il processo in Corte d’Assise sui delitti di Orune e Nule. Destinatario, Michele Taras, fratello di quell’Alessandro che nell’incidente probatorio cristallizzò la versione secondo cui accompagnò l’imputato Alberto Cubeddu nelle campagne di Pattada per bruciare la macchina di Stefano Masala utilizzata per mettere a segno l’agguato che, l’8 maggio 2015, costò al vita allo studente orunese Gianluca Monni.

Il mittente del messaggio è Roberto Pinna, padre di Paolo Enrico, il giovane di Nule già condannato in primo grado dal Tribunale dei minori di Sassari per l’omicidio di Monni e Masala, nonché fratello di Francesco, accusato, in questo stesso procedimento, di minacce. Quanto avvenuto poche ore prima della testimonianza di Taras, è emerso a fine udienza quando l’avvocato Angelo Magliocchetti, legale di parte civile ha chiesto a Michele Taras se conoscesse Pinna. «Non lo conoscevo, l’ho visto per la prima volta oggi quando mi ha avvicinato e mi ha chiesto di dire la verità» è stata la sua risposta.

Prima però il testimone ha ricordato altri particolari delle vicende che coinvolsero Alessandro. Un terzo fratello, Matteo, lo chiamò spaventato per raccontargli di aver ricevuto una telefonata. «Tu sei il fratello del corvo. Cra, cra non deve parlare» disse qualcuno all’altro capo del telefono. Matteo non riconobbe la voce e Michele consigliò al fratello di rivolgersi subito ai carabinieri. Secondo la pubblica accusa, a parlare era Francesco Pinna. «Io non ho subìto intimidazioni, Alessandro non lo so, si è chiuso a riccio. E non ha più parlato» ha raccontato Michele Taras rispondendo alle domande del pm, Andrea Vacca. Poco prima è toccato a due amici di Cubeddu: Andrea Deiosso e Antonio Campana di Ozieri. Entrambi hanno dichiarato di aver interrotto le frequentazioni con il loro compaesano a causa di ciò che si vociferava in paese sul suo coinvolgimento nel delitto Monni e nella scomparsa di Masala. «Era quello che dicevano tutti, ma non abbiamo mai parlato di cose del genere» ha detto Deiosso che ha aggiunto: «Ritengo che Alberto non sia in grado di fare certe cose». Quanto detto non collima con le intercettazione ambientali che fissano ben altri ragionamenti: «Mi deve provare che non ha nulla a che fare con questa storia, in tanti mi hanno detto di stare attento ad Alberto» alcuni stralci letti in aula dal pm. Anche il secondo giovane, Antonio Campana, si è allontanato da Alberto – assistito dagli avvocati Patrizio Rovelli e Mattia Doneddu – perché le voci sul suo conto erano sempre più insistenti. «Mi sono riavvicinato – ha detto – perché riflettendoci bene non credo che lui sia responsabile». Versione che mal si concilia con i dubbi sollevati a più riprese dai due ragazzi in due conversazioni e che anche in questo caso sono state cristallizzate nelle intercettazioni. L’udienza riprenderà il 14 dicembre.



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