La Nuova Sardegna

Funghi coltivati in serra il mercato è in espansione

di Antonello Palmas
Funghi coltivati in serra il mercato è in espansione

Buon momento in Sardegna per le vendite di cardoncello e antunna coltivati Fenomeno nato negli anni ’80 ma l’isola non è ancora concorrenziale 

03 dicembre 2017
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SASSARI. Lo definiscono il quarto regno naturale: è quello dei funghi, misteriosi e affascinanti, per molto tempo erroneamente ritenuti piante ma che invece sono esseri viventi a sé stanti. Così particolari e anomali che la loro coltivazione sembra più roba da scienziati che da agricoltori. Perché in fondo – fa notare una coltivatrice, Serenella Salis – lo sviluppo dei funghi attiene al settore delle fitopatologie. Insomma, è una malattia. Che però dà frutti gustosi. «La fungicoltura ha una storia giovane – spiega Antonio Scanu, unico tecnico Laore specializzato –, che in Sardegna è cominciata negli anni 80 e si è diffusa nella piana di Terralba-Arborea, dove per parecchio tempo era concentrata la metà delle aziende. Diverse sono morte, altre hanno cambiato produzione, ma il panorama è rimasto stabile, per poi conoscere un incremento con i contributi al primo insediamento».

Nell’isola sono tre i tipi di funghi coltivati: «Il Pleurotus eryngii, detto cardoncello; e il Pleurotus ostreatus, l’antunna; marginale la produzione di Agaricus bisporus, Champignon (o prataiolo). Le superfici sono circa 8-10 ettari stimati (metà nell’Oristanese), ma in realtà il calcolo andrebbe fatto sui metri quadri per il genere di coltura, in serra». Il mercato – dice Scanu – è molto soggetto all’andamento climatico, le temperature condizionano tantissimo lo sviluppo del micelio. Nell’Oristanese stiamo assistendo a degli autunni molto caldi non molto favorevoli alla crescita del cardoncello (il più pregiato), inoltre la vendita è soggetta alla crescita o meno dei funghi spontanei. Ma in annate come quella in corso, senza piogge autunnali, se ne trovano pochi e il mercato va bene. Si vende solo in Sardegna, a malapena si riesce a soddisfare le richieste interne. Anzi, siamo invasi da tanta merce extraregionale. Mercato in espansione? Sì, ma non può assorbire più di tanto, non siamo concorrenziali, anche per via delle ballette col substrato di compost, di difficile produzione specie nell’isola dove non c’è il grano tenero. Per quelle di antunna e prataioli siamo dipendenti al 100 % dal Continente». Diversa la situazione nella zona della Planargia- Campeda, ad esempio: «È la più vocata per la coltura del cardoncello – spiega Serenella Salis –, prodotto top che non conosce crisi. Non abbiamo paura di produrre, perché se c’è meno richiesta di fresco dirottiamo sulla trasformazione in sottolio, che consente di conservare il fungo 3 anni perché pastorizzato. Sono ottimista. I problemi a volte li hanno i piccoli appezzamenti (la maggioranza) dove non è possibile il nomadismo, necessario in caso di inquinamento da patogeni». Gli sbocchi insomma ci sono, specie per aziende già affermate e strutturate in grado di fornire sia il mercato classico che la grande distribuzione, che garantisce prezzi abbastanza stabili ed è una garanzia nei momenti in cui c’è meno richiesta. Il problema è iniziare. «Io suggerisco sempre di cominciare con poco – dice Scanu – e studiare mercato e produzione, in un settore molto particolare. Le tecniche di coltivazione cambiano molto a seconda delle zone, bisogna essere bravi nello scegliere quelle giuste. Non si può sbagliare, e quando succede significa che c’è stato inquinamento di funghi antagonisti e devi gettare via tutto». Clima e ambiente dettano legge: «Lo scirocco asciuga il micelio, il maestrale porta umidità e devi chiudere le serre. Insomma, conta molto l’esperienza fatta sulla propria pelle. Sperando di non incappare in suggerimenti errati da parte di tecnici che si improvvisano esperti di fungicoltura».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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