La Nuova Sardegna

Don Galia, il prete coraggio: gli ultimi la nostra missione

di Luigi Soriga
Don Galia, il prete coraggio: gli ultimi la nostra missione

Sassari, don Gaetano da anni accoglie carcerati e poveri al centro dei Salesiani  «Gli ospiti hanno delle regole: parte di ciò che mangiano lo ripagano col lavoro»

11 dicembre 2017
4 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. La vita di Don Gaetano Galia in fondo è una sommatoria di migliaia di esistenze incontrate lungo il cammino. La maggior parte delle quali deragliate e rimesse sui binari. Ragazzi di strada, carcerati, poveri, bambini con i genitori alla deriva, adolescenti abusati. Nella sua esperienza c’è tutto il campionario della sfortuna umana, tante anime con il disagio prestampato nel destino.

Ore 16, centro Salesiano di San Giorgio, cielo grigio topo e un freddo che bussa nelle ossa. Ti viene incontro con un giubbottone, jeans, occhiali, una bella pelata, e un sorriso che mette subito a proprio agio. Un filo con una crocetta di legno è l’unico marchio apparente di un uomo di chiesa. La sensazione è quella di incontrare un vecchio amico.

«Dai, facciamo prima un giretto nella casa comunità alloggio per minori. La gente ne sente spesso parlare, ma non ha idea di cosa sia». Ma appena entra nella prima stanza ha un attimo di sbandamento: appesi su un letto c’è la bandiera della Juve, e sopra quello accanto c’è quella dell’Inter. «Non sempre i buoni insegnamenti vanno a buon fine – dice – ma tolleriamo le religioni diverse, chiudiamo un occhio anche per gli eretici del calcio. Io sono un tifoso sfegatato del Cagliari e, strano a dirsi, anche della Torres».

Nel corridoio incontra un ragazzo che zoppica, ha il piede gonfio, e al suo fianco una ragazzina. Lei si mette in punta di piedi e stampa un bacio sulla guancia di Don Gaetano. «È il nostro nuovo acquisto, ha 16 anni, i genitori in carcere, mi vuole molto bene». Poi è la volta di lui: «E tu? Guarita la zampa? Come ti avevo detto che si va nei contrasti? Duri e decisi: se resti molle, a pallone e nella vita, ti fai più male».

Da ragazzo è stato un discreto calciatore, ha calcato i campi sino alla prima categoria, rigorosamente numero 10, regista, la capacità di tessere il gioco di squadra è un talento innato. «Era molti chili fa, sino ai 17 anni – racconta don Galia – Ora preferisco fare l’arbitro. Però la passione per lo sport mi è sempre rimasta. Le Olimpiadi di quartiere organizzate negli anni al Latte Dolce sono un grande motivo di orgoglio».

Siamo negli anni 90. A luglio il quartiere emarginato di Sassari si trasformava in un enorme aspiratutto. Tutta la gioventù, durante questo breve trailer d’estate, veniva risucchiata sui campetti dei salesiani. Don Galia aveva 32 anni. «Latte Dolce da rione ghetto diventava il centro della città. Ospitavamo più di mille atleti, era un laboratorio di socialità incredibile». Ma prima di diventare Don, il piccolo Gaetano era il primo di cinque figli, in una famiglia religiosa ma tutt’altro che bigotta. «Sono nato ad Arborea, era il 1960. Ero un ragazzino estroverso, facevo amicizia facilmente. Sin da piccolo ho frequentato l’oratorio, sono diventato chierichetto, e a 16 anni un prete mi propose di intraprendere il noviziato». Sul capitolo fidanzate glissa con una punta di imbarazzo: «Da piccolo ho sempre pensato che le ragazze togliessero tempo alle cose più importanti: il pallone e gli amici. Ma anche da grande rinunciare alla famiglia non mi è pesato. Penso che i preti in fondo siano dei privilegiati: quando la sera vado a letto, prendo sonno tranquillo. Non ho le preoccupazioni dei figli, non litigo mai con una moglie. Credo che per tenere salda una famiglia occorrano moltissime energie».

È un prete di trincea, e l’esperienza delle comunità alloggio e poi da cappellano del carcere di Sassari hanno fatto le spalle larghe. È anche un prete politico, con idee che non esita a esternare. Tipo: quando Soru nel 2004 fu il candidato del centrosinistra, Don Galia criticò duramente la scelta: «Trovavo assurdo che la sinistra dovesse per forza attingere dal mondo dell’imprenditoria, tradendo il suo dna, invece di scavare nella sua classe politica o nel proletariato». Il quadro partitico attuale non lo entusiasma. I grillini? «Deludenti sul piano pratico». «Salvini? Per carità». Troppo distante la sua visione dell’accoglienza. Gli piace molto l’apertura di orizzonti di Papa Francesco: «Trovo giusto tendere una mano ai migranti, ma non mi piace come viene gestita l’integrazione. Vedo molta ipocrisia, troppo business. Penso che la Caritas avrebbe potuto governare bene questo fenomeno. Di certo non ci sarebbero state le strutture fatiscenti dove i migranti vengono ammucchiati e abbandonati. A San Giorgio ospitiamo anche i carcerati, e diamo delle regole: una parte di quello che mangiano devono ripagarlo con il lavoro. Non deve essere solo assistenzialismo. Quel sudore è il prezzo della dignità».

Anche la solidarietà deve essere soggetta a regole: «Ho seguito la polemica sull’accattonaggio di don Mariani. Ho capito il suo messaggio: ribadisce semplicemente un principio di uguaglianza. Ciò che non è consentito agli italiani, non deve essere tollerato agli extracomunitari. E tendere una mano in maniera arrogante è un reato per tutti. La tua situazione di disagio non può essere un alibi per oltrepassare le regole».

Quanto poi alla pedofilia, pugno duro: «Lavorando in carcere è un tema sentito. Mi è capitato in confessione di parlare con persone che da piccole hanno subito abusi da un prete. E che a distanza di 50 anni sono morte dentro. Credo sia il gesto più raccapricciante che uno possa commettere. Utilizzare il ruolo di sacerdote, la fiducia riposta in te da un adolescente, per scardinare ogni resistenza, è da vigliacchi. È giusto denunciare all’autorità giudiziaria».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano

Video

Stefano Cherchi addio: a Sassari l'applauso della folla commossa per il fantino morto in Australia

Le nostre iniziative