Appello Confartigianato, no alle sebadas slovene: «Mangiate prodotti sardi»
«Dobbiamo fare una battaglia per difendere le nostre ricchezze, per il pranzo di Natale scegliete cibi locali: più sani e meno costosi»
13 dicembre 2017
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SASSARI. Al bando maialetti olandesi, olio greco, sebadas slovacche e mirto sloveno. Dalle tavole delle feste natalizie bisogna esiliare tutti i prodotti di importazione che vengono spacciati come “originali sardi”. È questo l’invito di Confartigianato Sardegna che annuncia una battaglia per difendere le ricchezze sarde. «I consumatori devono stare alla larga dagli inganni culinari e devono acquistare solo prodotti locali», dice Stefano Mameli, segretario di Confartigianato. Una sorta di sciopero bianco contro i finti prodotti sardi. «Per il pranzo di Natale bisogna scegliere i prodotti tipici delle 3.600 imprese sarde – continua Mameli – Bisogna comprarli perché, oltre a essere più buoni e più freschi, costano anche di meno».
Ovviamente non bisogna dimenticare le ricadute positive sull’economia. Come ricorda il segretario di Confartigianato «acquistare prodotti sardi significa contribuire a dare ulteriore forza a un comparto che è tra i pochi a resistere alla crisi garantendo occupazione e lavoro a decine di migliaia di lavoratori».
Sono 3.623 i laboratori e le botteghe sarde dell’agroalimentare che nelle prossime festività proporranno a 140mila famiglie pane, pasta, dolci, vino, birre, carni, formaggi, pesce e conserve. «Il tutto all’insegna del gusto, della tradizione e della genuinità», ricorda il segretario di Confartigianato. Purtroppo sono moltissime le imitazioni dei prodotti sardi. «Una concorrenza sleale – protesta Mameli – Nel mercato arrivano sempre più cibi-fotocopia, ma i consumatori, soprattutto in questi ultimi anni, sono sempre più attenti nello scegliere gli alimenti tradizionali sardi come i formaggi, i salumi, il pane, la pasta, i dolci, i vini e i liquori, anche se nei negozi è facile trovare dei prodotti “simil-Sardegna” che di sardo, ovviamente, non hanno nulla». Il problema è che sono in tanti quelli che cercano di fare business sfruttando le tradizioni culinarie della Sardegna. «In molti fuori dall’isola provano a copiare la qualità, i profumi e i sapori dei nostri dolci, ad esempio, che sono ancora preparati in laboratori artigianali con la più antica tradizione casalinga dell’isola, preziosa per la genuinità e semplicità dei suoi ingredienti base, sempre gli stessi da centinaia di anni: uova fresche, zucchero, farina, miele, mandorle, buccia di limone o arancia, mosto di vino cotto o pecorino freschissimo». Ma nonostante i tentativi è difficile imitare le bontà sarde. «Le panadas di Oschiri, il formaggio greviera di Ozieri, l’aranzada di Nuoro, i culurgiones ogliastrini, la birra di Tertenia, il vino di Sorso, i mostaccioli di Oristano il torrone di Tonara non temono certo i confronti». Come ricorda Stefano Mameli «nel primo semestre 2017 le imprese agroalimentari sarde hanno esportato 86 milioni di euro di valore, di cui 73 per i prodotti alimentari e 12 di bevande». A livello provinciale a Cagliari ci sono 1.508 imprese, a Sassari e in Gallura 1.107, a Nuoro 721 e a Oristano 287. «Infine è doveroso ricordare i 193 prodotti sardi a marchio garantito Dop, Igp e Stg, numeri che dimostrano quanto sia forte il collegamento dei sardi con le loro tradizioni più profonde». (g.z.)
Ovviamente non bisogna dimenticare le ricadute positive sull’economia. Come ricorda il segretario di Confartigianato «acquistare prodotti sardi significa contribuire a dare ulteriore forza a un comparto che è tra i pochi a resistere alla crisi garantendo occupazione e lavoro a decine di migliaia di lavoratori».
Sono 3.623 i laboratori e le botteghe sarde dell’agroalimentare che nelle prossime festività proporranno a 140mila famiglie pane, pasta, dolci, vino, birre, carni, formaggi, pesce e conserve. «Il tutto all’insegna del gusto, della tradizione e della genuinità», ricorda il segretario di Confartigianato. Purtroppo sono moltissime le imitazioni dei prodotti sardi. «Una concorrenza sleale – protesta Mameli – Nel mercato arrivano sempre più cibi-fotocopia, ma i consumatori, soprattutto in questi ultimi anni, sono sempre più attenti nello scegliere gli alimenti tradizionali sardi come i formaggi, i salumi, il pane, la pasta, i dolci, i vini e i liquori, anche se nei negozi è facile trovare dei prodotti “simil-Sardegna” che di sardo, ovviamente, non hanno nulla». Il problema è che sono in tanti quelli che cercano di fare business sfruttando le tradizioni culinarie della Sardegna. «In molti fuori dall’isola provano a copiare la qualità, i profumi e i sapori dei nostri dolci, ad esempio, che sono ancora preparati in laboratori artigianali con la più antica tradizione casalinga dell’isola, preziosa per la genuinità e semplicità dei suoi ingredienti base, sempre gli stessi da centinaia di anni: uova fresche, zucchero, farina, miele, mandorle, buccia di limone o arancia, mosto di vino cotto o pecorino freschissimo». Ma nonostante i tentativi è difficile imitare le bontà sarde. «Le panadas di Oschiri, il formaggio greviera di Ozieri, l’aranzada di Nuoro, i culurgiones ogliastrini, la birra di Tertenia, il vino di Sorso, i mostaccioli di Oristano il torrone di Tonara non temono certo i confronti». Come ricorda Stefano Mameli «nel primo semestre 2017 le imprese agroalimentari sarde hanno esportato 86 milioni di euro di valore, di cui 73 per i prodotti alimentari e 12 di bevande». A livello provinciale a Cagliari ci sono 1.508 imprese, a Sassari e in Gallura 1.107, a Nuoro 721 e a Oristano 287. «Infine è doveroso ricordare i 193 prodotti sardi a marchio garantito Dop, Igp e Stg, numeri che dimostrano quanto sia forte il collegamento dei sardi con le loro tradizioni più profonde». (g.z.)