La Nuova Sardegna

Il testimone: dov’è Stefano? Cubeddu sfida tutti e tace

di Giusy Ferreli
Il testimone: dov’è Stefano? Cubeddu sfida tutti e tace

Drammatico confronto in aula tra il cugino di Masala e l’imputato 

15 dicembre 2017
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NUORO. Nell’incrocio di sguardi tra due giovani uomini, il primo seduto nel banco dei testimoni il secondo tra gli imputati, si condensa la faticosa ricerca della verità in un processo logorante. E dolorosissimo. Il testimone è Giuseppe Masala, cugino di Stefano Masala. A lui suo zio Marco si è affidato sin dalle prime ore dalla scomparsa del figlio per cercare di capire cosa fosse capitato al ragazzo, sparito da Nule la sera del 7 maggio del 2015, alla vigilia della morte dello studente orunese Gianluca Monni. L’imputato è Alberto Cubeddu, il ragazzo di Ozieri accusato di aver ucciso i due giovani assieme al cugino Paolo Enrico Pinna, all’epoca dei fatti minorenne, condannato dal tribunale dei minori di Sassari a 20 anni di carcere, sentenza confermata in secondo grado.

È Giuseppe a raccontare dell’incontro con il giovane ozierese, avvenuto mesi dopo la scomparsa di Stefano, in una discoteca di Sassari. E della colluttazione nel locale. La tensione è salita alle stelle quando il testimone ha riferito cosa disse quella sera a Cubeddu. «Gli ho chiesto allora e gli chiedo ancora oggi di dirmi dove si trova Stefano» ha detto a voce alta Giuseppe guardando dritto negli occhi Alberto. La sua deposizione è la più lunga e la più sofferta dell’udienza che si è svolta ieri in corte d’Assise a Nuoro presieduta da Giorgio Cannas. Un fuoco di fila di domande del pm Andrea Vacca, dei difensori (Patrizio Rovelli, Mattia Doneddu e Agostinangelo Marras) e degli avvocati di parte civile (Antonello Cao, Rinaldo Lai, Margherita Baragliu, Angelo Magliocchetti e Caterina Zoroddu), sui giorni successivi alla sparizione del cugino con il quale aveva condiviso le scuole sin dall’asilo. Giornate fatte di ricerche sul campo e di abboccamenti con i fratelli di Alessandro Taras, il testimone che nell’incidente probatorio ha raccontato di aver visto Cubeddu bruciare la vettura e che, secondo l’accusa, sarebbe stato minacciato telefonicamente da Francesco Pinna, zio dell’imputato e di Paolo Enrico Pinna. La giornata è iniziata con la rinuncia da parte della difesa di Cubeddu, gli avvocati Patrizio Rovelli e Mattia Doneddu, a diversi testimoni, e della revoca da parte di Agostinangelo Marras, che difende Pinna, dell’opposizione ad utilizzare il brogliaccio delle intercettazioni. Ancor prima della testimonianza di Masala vengono sentiti gli investigatori dell’Arma che eseguirono una serie di accertamenti, come gli esami sui campioni biologici trovati su due felpe di Pinna, tracce che non sono risultate compatibili con il Dna di Stefano. Sul banco dei testimoni anche Vitaly Cattina, giovane ozierese amico di Cubeddu che ha confermato di aver passato la serata del 7 maggio con l’imputato: «Abbiamo trascorso la serata insieme e tra le 23 e le 24 lo abbiamo accompagnato a casa». Matteo Salvatore Taras, fratello di Alessandro, ha testimoniato che fu lui a ricevere in una sera d’estate una telefonata da un numero sconosciuto. «Una voce che mi parve di riconoscere come quella di Francesco Pinna mi disse che mio fratello il corvo doveva stare attento a quello che diceva» ha ribadito in aula Taras. Il numero, sconosciuto ma in chiaro, si scoprirà essere poi quello del telefonino in uso ad un dipendente lituano di Francesco Pinna. Tra i testi anche Giovanni Pinna, pastore e amico della famiglia Pinna che la mattina dell'omicidio di Monni, chiamò Paolo Enrico. Il ragazzo però non gli rispose. «Doveva aiutarmi a mettere in vendita online i pezzi di una mia automobile, ma quando l'ho chiamato quella mattina non mi ha risposto. Mi ha richiamato lui in tarda mattinata o nel primo pomeriggio e mi ha detto che non dovevo permettermi di disturbarlo perché lui a quell’ora dormiva». Il processo riprende questa mattina alle 9,45.



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