La Nuova Sardegna

Il diritto di morire con dignità

Eugenia Tognotti
Giovanni Nuvoli è morto nel 2007
Giovanni Nuvoli è morto nel 2007

L'OPINIONE - Biotestamento, ha vinto il rispetto del diritto invocato da chi ha affrontato anni di calvario. Come l’algherese Nuvoli

16 dicembre 2017
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Assuefatti come siamo all’eclissi di senso di responsabilità e ai ritardi in fatto di scelte di civiltà da parte delle nostre rappresentanze parlamentari, non possiamo che rallegrarci, naturalmente, dell’approvazione definitiva della legge sul Biotestamento che – dopo essersi arenata più volte, nell’andirivieni di anni tra Camera e Senato – ha finalmente concluso il suo tormentato iter. E pazienza se è arrivata tardi, a fine legislatura, dopo anni di “accanimento politico” sulle norme del fine vita, spinto da ideologie e posizioni filosofiche e religiose e bloccato dalle fortissime resistenze di diversi esponenti cattolici, in parte della stessa maggioranza, che vedevano (e vedono) nella legge una “apertura” verso l'eutanasia. Ha vinto, infine, il rispetto del diritto di autodeterminazione dei cittadini, invocato da quanti hanno affrontato anni di doloroso calvario per vederla riconosciuta.

Come l’algherese Giovanni Nuvoli, affetto da Sclerosi laterale amiotrofica, che ha combattuto per affermare la propria volontà di non continuare a restare inchiodato su un letto, la mente prigioniera di un corpo immobile, senza alcuno spazio per una speranza di guarigione. La sua vedova era in Senato, al momento della votazione della legge. In tanti, inascoltati appelli, e denunciando l’opposizione del Popolo delle libertà, aveva richiamato l’art. 32 della Costituzione, che afferma: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, che non può in alcun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona». Che giudizio si può dare sul Biotestamento diventato oggi legge dello Stato? Diciamo che nonostante le posizioni in campo – che facevano temere una pesante ideologizzazione – si è giunti ad un accettabile bilanciamento tra responsabilità del medico, diritto all’autodeterminazione, rispetto della vita e libertà del singolo. Resta solo qualche dubbio sul compromesso raggiunto sul nodo cruciale del ruolo del medico nelle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat). Divergenze d’interpretazione su una diagnosi o sul tipo di trattamento da impartire al malato, lasciano aperti spazi per controversie e possibili conflitti in tribunale. I sanitari debbono rispettare la volontà contenute nella Dat, a meno che non siano «palesemente incongrue», non corrispondano alla situazione clinica del malato, o siano sopraggiunte terapie tali da offrire «concrete possibilità di miglioramento della vita». Solo in questi casi il medico può decidere di non rispettare le Dat, se c’è il consenso del fiduciario, cioè del soggetto che rappresenta il malato nella relazione con il medico e lo sostituisce nell’assunzione delle scelte sulle cure e sugli accertamenti a cui sottoporsi, per il periodo in cui sarà incapace di intendere o volere o non potrà esprimersi.

In caso di conflitto tra medico e fiduciario decide il giudice. Che dire? Non è nei tribunali che si dovrebbe decidere il trattamento dei malati e non è al giudizio di un singolo magistrato, più o meno illuminato, che si dovrebbe affidare questo potere, che deve essere esercitato nei luoghi di cura, sulla base di una legge organica che assicuri la tutela dell’aspettativa individuale a morire “con dignità”.

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