La Nuova Sardegna

Utilizzò i fondi della Uil, per il sindacalista Arnaldo Melissa pena di 6 mesi

di Nadia Cossu
Utilizzò i fondi della Uil, per il sindacalista Arnaldo Melissa pena di 6 mesi

L'ex segretario provinciale di Sassari dovrà anche pagare 20mila euro di provvisionale alle segreterie. La Procura aveva accertato un ammanco di 47 mila euro dal bilancio

19 dicembre 2017
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SASSARI. Una condanna a sei mesi (con la sospensione condizionale della pena) per aver utilizzato i fondi della Uil – di cui all’epoca era segretario provinciale – per fini personali. Arnaldo Melissa dovrà inoltre pagare una provvisionale di quindicimila euro alla segreteria provinciale e una di cinquemila a quella regionale.

Si è chiuso ieri con la sentenza del giudice Maria Antonietta Crobu il processo a carico dell’ex segretario della Uil di Sassari. La Procura durante le indagini aveva accertato un ammanco di 47mila euro nel bilancio del sindacato.

L’esposto. I dubbi sulla condotta di Arnaldo Melissa erano stati sollevati dalla segretaria regionale della Uil, Francesca Ticca. Era stata lei – attraverso il suo avvocato Giovanni Campus che nel processo ha rappresentato la parte civile insieme al collega Luigi Satta – a presentare un esposto nell’ufficio del procuratore Gianni Caria. Una denuncia, con tanto di estratti conto allegati, dai quali emergeva che «in numerosissime occasioni» – così scriveva la Ticca nell’esposto – Melissa avrebbe «effettuato operazioni incongruenti con le finalità della carica ricoperta e del sindacato e potenzialmente rappresentative di distrazioni di fondi a fini personali».

Le spese contestate. «Acquisto di medicinali on line, acquisti al supermercato, pranzi e cene in noti ristoranti di tutta Italia, acquisto carburante per somme esorbitanti, acquisti in negozi di elettronica, per prodotti ortopedici, abbigliamento, profumerie, pelletterie, gioiellerie, calzature, ottica, pagamenti per siti internet, per hotel in Tunisia e ristoranti in Spagna, spese termali, veterinarie, bonifici su altre banche, prelievi di contanti, etc». Il tutto, si sosteneva nella denuncia, «nulla ha a che fare con i fini istituzionali del sindacato e non è neanche indirettamente strumentale a tali fini». In sintesi, spese che non sarebbero state effettuate secondo le modalità previste dallo statuto. Un impianto accusatorio rimasto in piedi nel processo e condiviso dal giudice Crobu.

Le tensioni nel sindacato. Ma bisogna fare un passo indietro e capire come si è arrivati a una situazione tanto delicata all’interno di un sindacato così solido e forte. Nel 2010, dopo ben 15 anni, Melissa si era dimesso dall’incarico di segretario provinciale della Uil e la struttura a quel punto era stata commissariata. Francesca Ticca era stata nominata commissario e aveva subito cercato di capire cosa stesse accadendo. Dai controlli in banca era saltata fuori un’importante situazione debitoria e così erano stati richiesti gli estratti conto. Un’analisi accurata delle voci di spesa era stata sufficiente per convincere la Ticca a depositare una denuncia alla Procura della Repubblica di Sassari. Come garanzia e a tutela degli iscritti.

La difesa di Melissa. «Io rappresentavo un’anomalia nel sindacato, ero diventato scomodo e mi hanno isolato. Questo accanimento nei miei confronti ha un solo significato: vogliono cancellare la storia di un dirigente per la prima volta eletto dalla gente». Così, all’indomani della notizia dell’indagine a suo carico, si era difeso Arnaldo Melissa. Spiegando di essere diventato un bersaglio «perché non mi sono piegato alle pressioni dei vertici regionali e romani. Non ho cioè accettato quei progetti che a mio avviso nulla avevano a che vedere con la Sardegna. Per quanto riguarda invece le spese contestate questa era stata la sua giustificazione: «Compravo fitofarmaci, curavo i gatti che erano stati abbandonati sotto la sede, facevo viaggi compatibili con il mio incarico, compravo generi alimentari per gli spuntini che organizzavo con i tesserati sparsi in provincia, perché mi piaceva incontrare la mia gente». Considerazioni riportate in aula anche dai suoi avvocati Graziella Meloni e Marco Costa. Ma le varie testimonianze e le ricostruzioni fornite sul bilancio non sono riuscite a smantellare l’impianto accusatorio e quindi – a parte la prescrizione intervenuta per alcune condotte degli anni 2006 e 2007 – è arrivata la sentenza di condanna per il periodo 2008-2010.

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