La Nuova Sardegna

Il fondatore di Abinsula: «In Sardegna un futuro è possibile»

di Gianna Zazzara
Andrea Maddau, Paolo Doz e Pierluigi Pinna
Andrea Maddau, Paolo Doz e Pierluigi Pinna

Pierluigi Pinna ha creato a Sassari una start up che oggi fattura 6 milioni di euro. «Nell'isola ci sono i talenti e le competenze ideali per creare aziende vincenti»

31 dicembre 2017
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SASSARI. «Chiuderemo il 2017 con 6 milioni di fatturato». Quello che si sta per concludere è stato un anno indimenticabile per Pierluigi Pinna, 45 anni, sassarese, e gli altri quattro soci di Abinsula, la start up specializzata nella produzione di software per automobili. Come quello che connette le auto con i telefonini intelligenti e che permette all’automobilista di guardare la strada invece dello smartphone.

Una straordinaria storia di amicizia e coraggio quella di Pierluigi Pinna, Andrea Maddau, Stefano Farina, Andrea Sanna e Paolo Doz, tutti ingegneri, che cinque anni fa decidono di abbandonare i loro lavori in giro per l’Europa e ritornare a scaldarsi al sole della Sardegna per fondare Abinsula. «Ci conoscevamo da ragazzini e non ci eravamo mai persi di vista», così Pierluigi ricorda gli inizi. A unirli la passione per la matematica e la tecnologia e un unico desiderio: ritornare in Sardegna. Il primo ad abbandonare il lavoro e a dedicarsi ad Abinsula è Pierluigi. Poi arrivano gli altri, tutti con la loro esperienza in multinazionali in giro per il mondo.

Con un capitale sociale di 10mila euro («Abbiamo messo 2mila euro a testa») aprono la prima sede in un magazzino, a Sassari, all’emiciclo Garibaldi. La prima commessa arriva grazie a Linkedin: li contatta, a sorpresa, un’importante azienda milanese che ha problemi con il software del magazzino. Il loro lavoro ha successo, inizia il passaparola e Abinsula decolla. Il primo anno fatturano mezzo milione di euro, il secondo un milione, il terzo due. Il 2017 si chiude con un fatturato record di 6 milioni di euro e commesse in Giappone, Russia, Australia, Singapore e Shangai.

Una start up milionaria con 80 dipendenti e uffici a Cagliari, Torino e Barcellona. La sede principale è ancora a Sassari, in viale Umberto. Un grandissimo loft dove lavorano gomito a gomito ingegneri informatici ed elettronici (tra loro qualche ragazza), oltre a un gruppetto di economisti: l’età media è inferiore ai 30 anni.

«Da qui non ci muoviamo», assicura Pierluigi mentre mostra orgoglioso la nuova idea sulla quale stanno lavorando i suoi ragazzi: un parastinco intelligente in grado di misurare la forza del tiro in porta di un calciatore. «Siamo ritornati in Sardegna perché eravamo convinti che qui ci fossero i talenti e le competenze necessarie per lanciare la nostra impresa. Alla faccia di tutti quelli che ci dicevano che Abinsula poteva avere un senso in America, non in Italia, figurarsi in Sardegna». Invece, in meno di cinque anni, Abinsula è diventata una start up di successo. Anzi, è la migliore start up tecnologica d’Italia. «Il lavoro sta cambiando, siamo a una svolta digitale – dice Pierluigi – Per la Sardegna è un’occasione unica, può diventare un laboratorio mondiale. Non abbiamo nulla da invidiare alla Silicon Valley quanto a competenze, anzi. Senza contare che il digitale è uno dei pochi settori che non soffre del gap dell’insularità: i software non hanno bisogno degli aerei», scherza Pierluigi. E la materia prima non manca. «Gli ingegneri sardi sono bravissimi. Purtroppo sono pochi. Quelli che sforna l’università di Cagliari trovano lavoro già prima della laurea. L’ideale sarebbe aprire un altro corso di laurea qui a Sassari».

Il chiodo fisso di Pierluigi è cercare di convincere chi è scappato dalla Sardegna per lavorare altrove a tornare qui. «Io dopo la laurea in ingegneria a Cagliari ho insegnato per un anno alle industriali a Sassari, poi mi sono trasferito per lavoro a Milano, Parigi, Berlino. Ma la mia testa, e soprattutto il mio cuore, mi dicevano che dovevo tornare a Sassari, anche per restituire qualcosa a questa terra che mi ha dato tanto». L’altro chiodo fisso è convincere i ragazzi che ancora stanno studiando a non scappare. Per questo Pierluigi continua a girare per le scuole.

«Racconto la bellezza della tecnologia e le aule sono sempre piene. Non è vero che i ragazzi di oggi siano svogliati e poco curiosi. Anzi. Bisogna dar loro fiducia perché è da loro che dipende il futuro di quest’isola. Sono loro che hanno la capacità di immaginarla tra dieci, venti anni. Per questo è fondamentale convincerli a restare a lavorare qui. Bisogna frenare la fuga dei talenti all’estero, altrimenti questa terra non ha futuro». L’ideale sarebbe creare un’impresa di successo come Abinsula. Ma come si fa? «Bisogna essere testardi come solo noi sardi sappiamo essere. Bisogna credere nella propria idea e buttarsi, perché tutto è possibile. All’inizio nessuno avrebbe scommesso su Abinsula. Invece noi ci abbiamo creduto, sempre». Ora tra i loro clienti ci sono aziende come Alfa Romeo, Fca e Lamborghini.

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