La Nuova Sardegna

L’esclusione dalle GRADUATORIE 

L’incubo di un eterno precariato 300 maestre in piazza a Cagliari

di Stefano Ambu
L’incubo di un eterno precariato 300 maestre in piazza a Cagliari

CAGLIARI. Docenti diplomati e laureati che rischiano di trovare i cancelli della scuola sbarrati da una sentenza del Consiglio di Stato che rimette in gioco tutto: carriera e vita. Perché loro...

09 gennaio 2018
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CAGLIARI. Docenti diplomati e laureati che rischiano di trovare i cancelli della scuola sbarrati da una sentenza del Consiglio di Stato che rimette in gioco tutto: carriera e vita. Perché loro pensavano di avercela fatta: erano di ruolo o almeno contavano di poter stare nelle Graduatorie ad esaurimento, la lista dalla quale il Governo aveva pescato nel 2015 per le assunzioni della Buona scuola. E invece niente. Per il tribunale il titolo non vale l'abilitazione. E quindi ritorno al passato. Come una volta: chiamate a tempo, supplenze, periodi a casa senza fare niente.

Lavoro precario, esistenza precaria. Un futuro impossibile da concepire ora che nel frattempo si è diventati grandi, anche 40-50 anni. E magari si è avuto il coraggio di mettere su famiglia. E allora non resta che lottare. Ieri in piazza Galilei a Cagliari davanti all'Ufficio scolastico regionale c'erano almeno trecento docenti dell'infanzia e della scuola primaria. Duecento erano già lì alle nove. Poi un centinaio di insegnanti è arrivato un'ora più tardi da Alghero e Sassari.

Ma una delegazione sarda era anche alla manifestazione nazionale a Roma. Una grande protesta che ha fatto capire che la scuola ha un problema: la prova della verità sarà fra qualche mese. In Sardegna sono circa millecinquecento gli insegnanti a rischio dopo la sentenza-mazzata di novembre. Qualcuno dice anche duemila. «Tutti insieme – spiega Elena Carta, 41 anni, di Sassari – perché è nostro diritto rimanere nelle Graduatorie a esaurimento. Il nostro titolo di diploma è abilitante. Io a questo lavoro ho sempre dato tutta me stessa. È la mia passione».

Qualche giorno fa i docenti avevano protestato sempre in piazza Galilei indossando una maglietta nera con il provvedimento della Gazzetta ufficiale stampato sulla schiena. Quello che recita che “i titoli conseguiti nell'esame di Stato a conclusione dei corsi di studio entro il 1997-1998 conservano in via permanente l'attuale valore legale”. Messaggio chiaro: no al licenziamento di massa. In questi anni le speranze erano state alimentate da tanti decreti cautelari positivi. E nel frattempo loro erano a scuola: a insegnare, a firmare documenti, a fare scrutini. Con firme che dopo la sentenza del Consiglio di Stato sembrano essere di inchiostro invisibile.

Lezioni e certezze sino a giugno, poi, se non cambia qualcosa, si riparte dalle ultime fasce del precariato. «Chiediamo subito la riapertura delle Graduatorie a esaurimento con un provvedimento d'urgenza – spiega Maria Cristina Cossu, docente alle elementari di via Cimabue a Quartu –, lotteremo sino alla fine». Serve, per sbloccare la situazione, un colpo di scena. «Serve subito una soluzione politica – ha detto nel comizio in piazza Gianmauro Nonnis, segretario regionale dell'Anief – e questo è il momento giusto. Non è possibile mantenere questa situazione: a scuola, in queste condizioni, sarà il caos».

Buona la adesione allo sciopero- spiegano i Cobas con il segretario regionale Nicola Giua – soprattutto nelle scuole dell'infanzia e alle primarie. «Ma – spiega il rappresentante della sigla sindacale – hanno aderito anche tanti docenti delle medie e delle superiori. Il problema è politico: non possiamo più tollerare che i diritti dei lavoratori vengano decisi dentro le aule di un tribunale». Anche per i Cobas non ci sono alternative: «Basterebbe – si legge in un volantino – un semplice decreto per risolvere la situazione che, se non sanata, oltre a licenziare migliaia di insegnanti, rischia di paralizzare la scuola dell'infanzia e primaria».

Una delegazione durante la mattinata è stata ricevuta del direttore scolastico regionale Francesco Feliziani. La soluzione non è Cagliari, ma a Roma.

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