La Nuova Sardegna

Puddu, il Weinstein di provincia: «Erano le ragazze a cercare lui»

di Mauro Lissia
Puddu, il Weinstein di provincia: «Erano le ragazze a cercare lui»

L’atto d’appello contro la condanna a sei anni e 4 mesi

18 gennaio 2018
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CAGLIARI. Non era Adriano Puddu a far leva sul proprio ruolo di sindaco di Portoscuso per costringere tre giovani donne a subire rapporti intimi, al contrario erano loro a trattarlo come una vacca da mungere, a chiedergli continuamente denaro e persino cibo grazie a un «rapporto confidenziale» che andava avanti da anni. E’ la tesi contenuta nell’atto d’appello firmato dagli avvocati Ivano Iai e Giuseppe Andreozzi in difesa dell’ex sindaco di Portoscuso, Adriano Puddu. Condannato il 21 novembre 2016 a sei anni e quattro mesi di carcere dai giudici della prima sezione del tribunale, l’ormai ex leader politico del Sulcis punta a ribaltare l’esito del giudizio con un documento di 71 cartelle che ripercorre in chiave diversa la vicenda boccaccesca culminata a gennaio del 2012 con l’arresto di Puddu, tra presunti abusi sessuali e conversazioni telefoniche ad alto tasso di volgarità. Una rilettura dei fatti destinata a far discutere, in una fase storica in cui il caso Weinstein ha acceso il dibattito a livello mondiale sui rapporti di forza uomo-donna.

La vicenda di Portoscuso, che a suo tempo suscitò clamore a livello nazionale, assomiglia molto a quella del patron della Miramax, cambia solo l’ambiente e la visibilità di protagonisti e vittime: se Weinstein induceva giovani attrici a concedergli favori sessuali promettendo parti in film da Oscar, il più modesto Puddu è finito in tribunale per aver fatto la stessa cosa in cambio di sussidi di povertà. Portoscuso non è Hollywood, il comune sulcitano non assomiglia alla fabbrica del grande cinema americano ma nei rapporti fra i protagonisti di queste storie lontanissime compaiono dinamiche analoghe, a volte speculari, che l’appello firmato dai due legali con ampi riferimenti alla giurisprudenza della Cassazione propone in punta di diritto, senza mai scivolare nella semplificazione. Così, nell’esame alternativo dei fatti, l’avvocato Iai sottolinea come le norme penali affrontino questa delicatissima materia in termini inequivocabili: perché sussista l’indebita induzione, in questo caso a prostituirsi, è necessario che venga provata la prevaricazione e che le vittime si trovino in uno stato di soggezione psicologica. Secondo i difensori è stato il processo di primo grado a dimostrare - malgrado Puddu non abbia mai accettato di rispondere alle domande del pm Daniele Caria - che in realtà era il sindaco ad essere uno strumento nelle mani delle tre donne, una specie di bancomat da attivare con la disponibilità: «Agli atti del processo - ha scritto l’avvocato Iai - non c’è traccia di pressioni da parte sua sulle ragazze, nulla dimostra che Puddu le abbia costrette a fare qualcosa contro la loro volontà». Un po’ come Weinstein, sott’accusa per aver capitalizzato la propria posizione a scopi sessuali ma non di aver usato la violenza. Nel caso di Puddu - sostengono i legali - neppure la posizione di sindaco, perché i testimoni hanno chiarito che le tre donne avevano diritto ai sussidi di povertà e che non è stato il primo cittadino a farglieli avere. Ci sarebbero quelle conversazioni intercettate, alcune impubblicabili per il contenuto imbarazzante, e alcuni sms a gettare un’ombra sulle condotte di Puddu e a confermare la fondatezza della sentenza di condanna. Ma per l’avvocato Iai sono proprio quelle a dimostrare quali fossero i reali rapporti di forza: «Adri, hai 50 euro da lasciarmi per favore? E’ urgente». Ancora: «Ti devo chiedere un favore, mi potresti dare un aiuto economico? Sono in merda». E poi: «Adri, verso le sette dove ti trovo? Hai un po’ di carne o pesce?». Quindi, nel ragionamento difensivo - finora bocciato dai giudici - erano loro a chiedere, loro lo cercavano e lo trattavano come un anziano zio, utile al bisogno. Non basta - dicono i difensori - che una giovane donna si conceda a un uomo anziano per parlare di abusi sessuali. Almeno non in questo caso, sul quale la parola passerà presto ai giudici d’appello.

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