La Nuova Sardegna

Flop Pd, candidature decise da una commissione

Flop Pd, candidature decise da una commissione

Dem ancora spaccati. Non c’è l’accordo sui nomi da presentare alle Politiche  A scegliere saranno sei delegati , due per corrente, più il segretario Cucca  

19 gennaio 2018
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ORISTANO. Il Pd non ce l’ha fatta a chiudere la mappa delle candidature. Lo schema, circolato in queste ore, non sarebbe ancora equo nei posti assegnati alle correnti. Così per non spaccare il partito, a un mese dalle Politiche di marzo, dal cilindro del segretario regionale Giuseppe Luigi Cucca è saltata fuori la soluzione. Questa: sarà una commissione elettorale, presieduta dallo stesso Cucca, e composta da due delegati per ognuna delle tre anime a correggere la bozza, se serve, a riequilibrala, se sarà necessario. Perché comunque l’elenco finale degli aspiranti parlamentari dovrà essere il più unitario possibile. Lo ha ribadito Renzi, nell’ultima assemblea nazionale: «Dobbiamo rispettare le diverse sensibilità e garantire a tutti un riconoscimento non solo simbolico ma anche numerico». Mentre nella bozza di metà gennaio non sarebbe così: due capolista su tre sono renziani, Cucca nel proporzionale per il Senato e Gavino Manca in quello di Sassari-Olbia-Nuoro alla Camera. Il terzo, anzi la terza, dovrebbe essere Romina Mura della corrente dei popolari-riformisti in cui si riconosce l’area Cabras-Fadda. Per farla ancora più semplice: a essere tagliata fuori è stata, a questo punto, la corrente dell’eurodeputato Renato Soru, che in direzione regionale (era inevitabile) ha alzato la voce. Prima di ogni possibile cataclisma, il compromesso è stato trovato proprio nel via libera, deciso senza voti contrari, alla commissione dell’ultim’ora.

Chi e quando. Nelle prossime ore ci sarà la prima e forse unica riunione del gruppo dei sette. Oltre a Cucca, gli altri designati dalle correnti e subito convocati sono: lo stesso RenSoru e l’ex sindaco di Villasimius Salvatore Sanna, poi Sebastiano Mazzone, ha presieduto le ultime primarie in Sardegna per la segreteria nazionale, e il deputato uscente Siro Marrocu, i due in quota renziana. Infine il vicesegretario Pietro Morittu e Cesare Moriconi, consigliere regionale, scelti dai popolari-riformisti. Senza più passare in direzione, spetterà a loro decidere lo schema dei 21 candidati da presentare nei 12 collegi sardi. Schema da sottoporre poi al visto della segreteria nazionale, che se vorrà, è successo altre volte in passato, potrà modificarlo. Tutti i passaggi però dovranno essere molto veloci: a fine mese le liste devono essere depositate nella cancelleria della Corte d’appello di Cagliari.

Lo schema. Il migliore di tutti sarebbe questo: un capolista per ogni corrente, cioè l’elezione sicura. Invece a tutt’oggi la mappa è sbilanciata, con la minoranza interna, i soriani, rimasti a zero nel proporzionale e pare in inferiorità numeri anche nei collegi uninominali. Il che vuol dire: per ritornare all’auspicata parità, i renziani che ora hanno due posti, dovrebbero rinunciare a qualcosa. Ma non è semplice. Com’è prassi, il segretario ha diritto a un posto blindato e in questo caso ancor di più: Giuseppe Luigi Cucca è un senatore uscente. Poi c’è Gavino Manca, che da sempre è considerato il console di Renzi in Sardegna e quindi inamovibile per il «giglio magico». Come finirà? Forse con una possibile proposta unitaria da consegnare nelle mani della segreteria nazionale per ribadire che «in Sardegna il partito è compatto», almeno sulla carta. Poi se ci dovessero essere altre correzioni da fare, a pensarci saranno nella disponibilità del vertice romano cui spetta sempre l’ultima insindacabile parola.

La delusione. Il Pd ha incassato a denti stretti l’accordo mancato col Psd’Az. Ci ha creduto fino all’ultimo, ma sul filo di lana è stato scavalcato dalla Lega: una beffa. Ma, nei corridoi della direzione, nessuno ha dichiarato di sentirsi in colpa: «Abbiamo fatto il massimo possibile», è la giustificazione circolata più volte. Anche se, nella riunione a porte chiuse, pare siano volate parole molto più grosse. Soprattutto nell’ormai immancabile duello verbale fra Cucca e Soru. Con l’ex governatore che avrebbe contestato al segretario di «essersi presentato da solo alle trattative con i possibili alleati ed è stato un errore che potevamo evitarci». Cucca ha replicato: «Sono stato eletto democraticamente, la maggioranza del partito mi ha dato il mandato pieno, quindi non c’era bisogno d’altro e non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno». È stato questo uno dei momenti più caldi, ma per fortuna del Pd a domare l’incendio si sono messi un po’ tutti. La commissione dell’ultim’ora è stata il miglior estintore possibile altrimenti chissà come sarebbe finita.

L’ultima volata. È quella più rischiosa per il Pd. Non può presentarsi al via elettorale diviso e neanche scontento in una stagione di future possibili vacche magre. I sondaggi non sono dalla sua parte e se vuole ribaltarli ha bisogno di tutti. Compresi gli urlatori, i portatori d’acqua e qualunque sherpa disponibile a sacrificarsi in nome della causa. Per questo volente o nolente, ha una sola strada percorribile: l’unità, o saranno guai seri. (ua)

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