La Nuova Sardegna

IL CASO - Due tartarughe in ostaggio nel mare della burocrazia

Enrico Carta
IL CASO - Due tartarughe in ostaggio nel mare della burocrazia

Oristano, il caso delle Caretta caretta costrette a vivere in piccole vasche. Sequestrate nel 2013 a un acquario, attendono la sentenza che le liberi

28 gennaio 2018
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ORISTANO. L’orizzonte davanti a loro dovrebbe essere sconfinato come il mare in cui, se potessero, nuoterebbero libere. Invece da quattro anni e mezzo, dopo aver passato la vita precedente all’interno di spazi non certo sterminati nell’acquario di Alghero, vedono soltanto le pareti di due vasconi nei laboratori del Cnr al Centro marino internazionale di Torregrande. Sono due tartarughe, splendidi esemplari di Caretta caretta, le quali attendono i tempi della giustizia umana che cammina molto più lentamente di loro, quando invece dovrebbe correre come una lepre.

Si sa però come andò a finire l’esopica gara tra quest’ultima e la tartaruga che fu proprio la prima a tagliare il traguardo pur non avendo, all’apparenza, chance di vittoria. Il problema è che questa non è una sfida in cui chi va piano va sano e va lontano, ma una partita che si gioca in tribunale lontano da quei due vasconi dove i due esemplari nuotano dal luglio del 2013. In realtà a Torregrande avevano fatto una prima gita qualche anno prima, nel momento in cui fu preso il primo provvedimento di sequestro da parte del giudice per le indagini preliminari che stava esaminando il caso in seguito a un’ispezione all’acquario di Alghero.

Furono rilevate delle irregolarità per il modo in cui gli animali venivano trattati e il caso di Genoveffa, la più anziana delle due tartarughe, destò allora molto sdegno dando vita anche a una protesta contro la struttura catalana da parte di associazioni che tutelano i diritti degli animali. Successivamente il giudice restituì la tartaruga al suo proprietario, ma dopo qualche tempo, in seguito a nuove verifiche e alla contestazione di violazioni delle leggi sulla detenzione degli animali, le due Caretta caretta fecero ritorno a Torregrande. Da dove, dal luglio del 2013, non si sono più mosse.

In attesa di sapere chi abbia ragione – il proprietario dell’acquario o gli agenti del Corpo Forestale? –, le due “sorelle” restano in quel limbo in cui la vita per nulla somiglia a quella che un qualsiasi animale dovrebbe trascorrere in piena libertà nella natura. Per ora le loro rotte di navigazione sono alquanto limitate e l’unico movimento che si concedono è quello di nuotare in tondo nei vasconi da un paio di metri di diametro. I ricercatori che si prendono cura di loro non fanno mancare, sebbene non sia stata concessa la copertura finanziaria, il buon cibo e le continue assistenze mediche, ma non si può certo dire che siano soddisfatti della condizione delle tartarughe. E lo stesso dicasi per i responsabili dell’Area Marina del Sinis-Mal di Ventre, ente che si occupa proprio del recupero di tartarughe ferite e che in tante occasioni ha regalato loro la libertà dopo averle amorevolmente curate. In questo caso, come conferma il direttore Giorgio Massaro, anche l’Amp è costretta ad aspettare una decisione che ancora non è arrivata.

Nell’aria, in questi ultimi giorni, si respira buon umore perché c’è il sentore che le acque stiano per smuoversi, ma dopo tanta attesa nessuno si fa più illusioni sulla durata del procedimento che vede opposta la Regione al proprietario degli animali. Visto che si è parlato di Esopo e di favole, chi va in cerca di morale potrebbe trarre dalla vicenda un insegnamento molto chiaro. Così diventa superflua la risposta alla domanda: è giusto equiparare due tartarughe a un qualsiasi altro corpo di reato? Le due “sorelle” non paiono somigliare a un pacco di droga o a un gioiello rubato che si può tranquillamente conservare in cassaforte fino al momento in cui il caso non sia chiuso.

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