La Nuova Sardegna

Insularità, il comitato prepara il ricorso

di Mauro Lissia

Dopo la bocciatura del referendum arriva la reazione degli attivisti. Sostegno dalla politica

01 febbraio 2018
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CAGLIARI . La bocciatura del referendum sull’insularità non è solo un caso giudiziario, di quelli in cui la scienza del dritto domina e il resto conta poco. «È una decisione sbagliata anche dal punto di vista antropologico. Ai sardi è stata negata la possibilità di votare contro i troppi svantaggi che purtroppo conosciamo e a favore invece del riconoscimento delle pari opportunità finora negate». È cominciata cosi, con le parole dell’archeologa Maria Antonietta Mongiu, la conferenza stampa in cui il Comitato promotore ha fatto sapere: «Ricorreremo. Non ci fermiamo e diciamo no alla delibera, o ancora meglio alla condanna, decisa dall’Ufficio regionale per il referendum». Ha sessanta giorni di tempo per scrivere il papiro delle controdeduzioni ma le presenterà subito. «Il nostro pool di giuristi è già al lavoro. L’interpretazione restrittiva che è stata data alla richiesta referendaria non può essere accettata. La reazione sarà forte», ha annunciato il presidente Roberto Frongia. Anche se non è ancora chiaro se il ricorso dovrà depositarlo nella cancelleria del Tar o presentarlo al presidente della Repubblica. Di certo c’è che «la decisione dell’Ufficio sarà contestata dalla prima all’ultima parola», ha esordito Vanni Lobrano, che insegna diritto romano a Sassari. Per poi mettere in fila i motivi a sostegno di quello che sarà un appello amministrativo: «Il referendum richiesto – ha detto – è stato interpretato dall’Ufficio come una manifestazione di volontà mascherata, secondo i giudici, e destinata a modificare lo stato delle cose, addirittura i poteri della Regione e persino la Carta costituzionale. Non è nulla di tutto questo. Era e rimane un quesito semplice che ha un obiettivo: chiedere agli elettori di pronunciarsi sull’insularità». Secondo il docente universitario anche gli altri «passaggi della decisione sono da contestare, perché negano il legame più diretto che esiste, insieme al voto, fra i cittadini e le istituzioni. Qual è? La risposta può essere una sola e non ci possono essere dubbi: il referendum, è ovvio». Però con le elezioni di marzo alle porte e altre battaglie politiche in corso, su quanto è accaduto non possono parlare solo giuristi. C’è spazio anche per la politica. Gianfranco Ganau, presidente del Consiglio regionale, ha detto: «Senza entrare nel merito della decisione, comunque non la condivido. Non può essere fermata così una battaglia vitale per il futuro della Sardegna». Luciano Uras di Campo progressista ha aggiunto: «Mai impedire a un popolo di credere in un futuro migliore». Poi Paolo Maninchedda, segretario del Partito dei sardi: «Noi siamo interessati all’anima di questo referendum e quell’anima non può essere spazzata via, perché i sardi hanno il diritto di dire all’Italia e all’Europa che non si sentono tutelati». Emilio Floris di Forza Italia è andato oltre: «Questa battaglia referendaria ha unito movimenti e partiti contrapposti. Deve continuare fino a quando non otterremo il referendum». Attilio Dedoni dei Riformatori ha parlato di un attacco diretto alla democrazia, mentre Giorgio Oppi dell’Udc ha scritto: «La volontà dei sardi, in questo caso oltre 90mila, non può essere cancellata all’improvviso». Col portavoce del Comitato che ha chiuso con queste parole: «Ricorreremo e a ottobre andremo a votare perché nella Costituzione ci sia scritto che la Sardegna non può morire per una colpa non sua: l’insularità». (ua)

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