La Nuova Sardegna

Il Pecorino romano pronto a fare sistema anche in Europa

di Claudio Zoccheddu
Il Pecorino romano pronto a fare sistema anche in Europa

Tra gli obiettivi un accordo con i consorzi francesi e spagnoli. Ma nell’isola si discutono le quote latte e i nuovi prodotti  

03 febbraio 2018
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SASSARI. La strada da percorrere è segnata sul navigatore del comparto del Pecorino romano. Rimane da capire se il gruppo sarà compatto, perché anche ieri non sono mancate le voci fuori dal coro. L’occasione era il convegno organizzato dal consorzio di tutela del Pecorino romano sullo stato di salute dei formaggi a denominazione d’origine protetta e sul ruolo dei consorzi che ne tutelano la produzione e il marchio. La linea del consorzio è condivisa dai produttori, soprattutto quando si parla di un mega consorzio internazionale in grado di mettere a sistema la produzione dei pecorini italiani, spagnoli e francesi per creare un cartello europeo. Ma per rovinare il clima fraterno è bastata una parola: follia. Ha usato questo termine Salvatore Palitta, presidente del consorzio del pecorino romano, per descrivere la possibilità di importare in Sardegna il metodo di assegnazione delle quote latte utilizzato dal consorzio del Parmigiano reggiano, che le lascia ai produttori. La definizione ha generato la reazione di alcuni soci: «Non è una follia, è questa la strada da seguire», hanno detto i rappresentanti di Copagri. Ma c’è anche chi non ha gradito uno degli obiettivi presentati dal consorzio: diversificare la produzione per aggirare il surplus della produzione lattiera. Come Nino Mura, da anni al timone di Sarda Formaggi: «Come possiamo pensare di diversificare la produzione se le quantità di latte da destinare al Romano vengono decise in base alla produzione annuale». La volontà di fare sistema sembra evidente, ma il corto circuito è sempre in agguato.

Il lavoro del Consorzio. A parte gli screzi, gli obiettivi sono chiari e Salvatore Palitta li ha messi in fila, uno dietro l’altro: «Serve un piano di regolazione dell’offerta e il riposizionamento del prodotto nei mercati di riferimento, come gli Usa, ma anche un adeguamento del disciplinare che deve essere comune a tutti i produttori». Nel decalogo di Palitta c’è spazio anche per i nuovi brand da lanciare nei mercati che stanno scoprendo il pecorino negli ultimi anni, come il sud est asiatico e l’Oceania. Un altro capitolo fondamentale è la tutela legale, nazionale internazionale, del prodotto e del marchio che lo identifica.

I numeri del romano. Il formaggio pecorino domina l’industria agroalimentare sarda ed è la seconda voce per importanza quando invece si mette a fuoco l’export. In Italia, tra i formaggi Dop di pecora, il romano ha i numeri più alti anche nella stagione casearia del 2016/2017: 356mila quintali che valgono l’85 per cento, della produzione nazionale. Nei primi quattro posti della classifica anche altre produzioni d’eccellenza dell’isola, che però hanno numeri molto inferiori: il Pecorino sardo si è fermato a 16mila quintali mentre il Fiore sardo non ha raggiunto gli 8mila quintali. Se il romano stenta a recitare il ruolo del profeta in patria, dall’altra parte dell’Atlantico è invece una star. La terra promessa del pecorino sono gli Usa con il 53 per cento dell’intera esportazione “europea” che arriva proprio dalla Sardegna. Lo scorso anno, tra gennaio e novembre, sono sbarcati negli stati Uniti 159mila quintali di Pecorino romano. Una quota che ha fatto segnare un aumento del 34 per cento rispetto allo stesso periodo del 2016. Il maggiore importatore europeo rimane invece la Germania, seguita dalla Francia e dal Regno Unito. Negli stati fuori dall’Unione europea il principale Paese importatore è il Giappone con circa 4.500 quintali, seguito dal Canada. Bene l'Australia, che ha fatto segnare un aumento del 26 per cento, e il Brasile, dove l’export è aumentato dell’83 per cento.

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