La Nuova Sardegna

Pericolo melanomi, Sardegna fanalino di coda nella speranza di vita

di Antonello Palmas
Pericolo melanomi, Sardegna fanalino di coda nella speranza di vita

A cinque anni dalla diagnosi sopravvive solo il 78 per cento. Duecento nuovi casi all’anno. Le strategie di Cnr e Aou di Sassari

06 febbraio 2018
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SASSARI. Il melanoma uccide più in Sardegna che nelle altre regioni d’Italia. Secondo i dati diffusi da Novartis, nonostante i passi avanti l’isola è ancora fanalino di coda nella speranza di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di questi pericolosi tumori della pelle, inferiore al resto della popolazione italiana: solo il 78% contro l’87% della media nazionale. Ci sono duecento nuovi casi ogni anno, distribuiti omogeneamente su entrambi i sessi e, nella maggioranza dei casi, riguardanti giovani. Il melanoma rappresenta la seconda neoplasia più diffusa tra gli uomini under 50 e la terza tra le donne nella stessa fascia d’età.

«Siamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione legata alla migliore classificazione dei diversi tipi di melanoma: non è più appropriato parlare di un’unica patologia, ma di un insieme di malattie, che possono differenziarsi per le caratteristiche biologiche e cliniche delle lesioni nonché per la risposta alle terapie – commenta Giuseppe Palmieri, presidente dell’Intergruppo melanoma italiano e responsabile dell’Unità di genetica dei tumori del Cnr di Sassari, fra i centri di riferimento ed eccellenza impegnati sul tema –. Il melanoma è un nemico insidioso, dalle molte facce, di molte delle quali, negli ultimi anni, si è riusciti a tracciare un identikit, caratterizzandole a livello molecolare, ovvero identificando le mutazioni genetiche che, all’interno della cellula tumorale, ne regolano la crescita».

«Nell’Aou di Sassari è attivo, dall’inizio dello scorso anno, un team multidisciplinare sul melanoma, che prende in carico e porta in discussione tutte le diagnosi dei nuovi casi di melanoma invasivo, delineando il più appropriato percorso diagnostico e terapeutico - spiega Antonio Cossu, dirigente medico dell'anatomia patologica dell'Aou. Vi partecipano dermatologi, anatomo-patologi, biologi molecolari, chirurghi plastici e generali, radiologi e radioterapisti, medici nucleari ed oncologi medici. Nel 2017 sono stati definiti ed applicati i criteri condivisi per un percorso diagnostico e terapeutico di ciascun paziente che possa consentire una maggiore tempestività di diagnosi e cura; attualmente, siamo nella fase preparatoria al riconoscimento ufficiale del team da parte della Aou». La chemioterapia non è più oggi l’unica opzione: sono disponibili anche farmaci target, in grado di legarsi specificamente ai bersagli molecolari identificati nelle cellule tumorali, e agenti immunoterapici, che potenziano l’azione del sistema immunitario. Ma per usare al meglio queste nuove armi, il team multidisciplinare deve entrare in gioco fin dal primo step e il paziente deve poter condividere i nuovi saperi.

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