La Nuova Sardegna

Elezioni, Cucca (Pd) fa il mea culpa: "Ci siamo fatti male da soli"

di Umberto Aime
Elezioni, Cucca (Pd) fa il mea culpa: "Ci siamo fatti male da soli"

Il numero uno Dem: «Abbiamo litigato su tutto, anche sulle candidature». Per giovedì convocata la segreteria regionale: «Serviranno scelte drastiche» 

07 marzo 2018
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CAGLIARI. Al Pd peggio di così non poteva andare. In cinque anni, ha gettato centomila voti nel cestino, eletto solo tre parlamentari, erano dodici nel 2013, e ormai è andato ben oltre una semplice crisi di nervi. Il livello di guardia l’ha superato eccome, è sceso sotto il 18 per cento. Eppure governava a Palazzo Chigi ed è ancora il partito di maggioranza relativa in Consiglio regionale. Rieletto al Senato, il segretario Giuseppe Luigi Cucca prova a spiegare il tracollo, con un filo di voce. Il peso della legnata è stato forte sui denti.

Cos’è accaduto?
«La mia risposta a caldo è questa: non siamo riusciti a far capire alla gente quanto di buono abbiamo fatto in questi cinque anni di governo. Non c’è stato riconosciuto di aver tirato fuori l’Italia dalla crisi e di aver avviato la ripresa».

È colpa solo degli elettori?
«No di certo. Dovevamo parlare di più con la gente, ma non l’abbiamo fatto abbastanza. Oppure, è un’altra ipotesi, abbiamo usato un linguaggio che non è stato capito. Aggiungo, infine: ci siamo fatti del male da soli, con quell’immagine di un partito che prima delle elezioni litiga su tutto, anche sulle candidature».

Sempre al terzo posto dovunque e sempre distaccati di moltissimo.
«È questo quello che fa più male, ma dobbiamo rialzarci».

Il trionfo dei Cinque stelle, in Sardegna un’apoteosi.
«È un successo che si sentiva dovunque. L’aria era quella. Nell’isola in modo particolare e non siamo riusciti a contenere la rabbia che c’era nei cittadini. Non siamo riusciti a ribaltare un sentire comune. È stata una tempesta su cui hanno pesato non solo questioni nazionali ma anche regionali».

Un esempio?
«I pastori del Centro Sardegna prima avevano detto che non sarebbero andati a votare. Poi molti di loro, all’ultimo momento, hanno ritirato la scheda, per dare il voto ai Cinque stelle o alla Lega. E se hai contro il mondo delle campagne, tutto diventa in salita, nonostante la Regione abbia fatto molto per allevatori e agricoltori».

È stato un voto antisistema?
«In gran parte sì ed ecco perché ho parlato di tempesta elettorale».

Sconfitti malamente anche nelle città.
«Diciamo che quel risultato era più prevedibile, anche se qualche segnale di recupero c’era stato nelle ultime settimane».

Invece siete finiti sotto il 16 per cento, è un disastro.
«Lo è senza dubbio».

La Sardegna è stata fra le regioni peggiori per il Pd.
«In Campania e Calabria, abbiamo raccolto ancora meno, il 13 per cento, ma non può essere certo un consolazione».

Effetti collaterali sulla Regione?
«È presto per dirlo. Dobbiamo analizzare ancora i risultati, parlare fra di noi, riflettere e confrontarci anche con gli alleati»

Cosa accadrà?
«Ci sono due fronti. Uno nazionale: bisognerà vedere quali saranno le scelte di Renzi, ci saranno nuove primarie, ci sarà un nuovo segretario? Vedremo».

L’altro fronte?
«È regionale. Per giovedì, ho convocato la segretaria. Dopo una settimana, venerdì, la direzione. È in quelle due riunioni che decideremo come muoverci».

Si presenterà dimissionario dall’incarico di segretario?
«Prima della riunione di giovedì, ogni anticipazione non avrebbe senso».

Depressione da sconfitta?
«No, ma è evidente che il voto di domenica che non ci ha premiato non può passare sotto silenzio. Se vogliamo risalire, serviranno delle scelte».

Drastiche?
«Direi meglio importanti, ma comunque dovranno essere immediate».

Il Parlamento dovrà abituarvi a cinque anni d’opposizione.
«Lo so, ma ora voglio vedere come gli altri manterranno le promesse, le false promesse, che hanno fatto agli italiani».

Fuori Renzi e si ricomincia?
«Non credo che sia più il problema di chi c’è o ci sarà al comando. È tutto il partito che deve riflettere, fare autocoscienza, elaborare nuove strategie e ripartire. Ma stavolta tutti insieme».

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