La Nuova Sardegna

Caso Dall’Orto, il rapitore inchiodato dal francobollo

Caso Dall’Orto, il rapitore inchiodato dal francobollo

Il sequestro di 30 anni fa. Esame del Dna per i 16 indagati: uno è Matteo Boe

08 marzo 2018
4 MINUTI DI LETTURA





BOLOGNA. Colpo di scena, ieri in udienza al tribunale di Bologna, su uno dei cold case più celebri della cronaca nera reggiana che vede indagati ben 15 sardi a quasi trent’anni dai fatti. È il caso del sequestro di Silvana Dall’Orto, rapita il 19 ottobre 1988, quando la donna aveva 44 anni. La soluzione potrebbe arrivare da un francobollo. È stato infatti estrapolato un profilo genetico completo maschile e frammenti di altri Dna che a distanza di tre decenni potrebbero fornire nome e cognome di almeno uno dei rapitori di Silvana Dall’Orto tra i 16 iscritti nel registro degli indagati, uno di Piacenza (di origini sarde) e 15 sardi, tra cui Matteo Boe, tornato in libertà nella sua casa di Lula lo scorso fine giugno. Con lui, nel registro degli indagati, ci sono anche tre donne. Quasi tutti sconosciuti, a parte un paio con precedenti e un paio noti unicamente per la stretta parentela (sono fratelli) con Mario Moro, il bandito di Ovodda coinvolto nel sequestro Soffiantini e morto nel 1998 in seguito alle ferite riportate in un scontro a fuoco con i Nocs nel quale perse la vita l’ispettore di polizia Samuele Donatoni. I due fratelli si chiamano Francesco e Mario Moro, 53 e 60 anni. Gli altri indagati sono Franco Arzu, 51 anni di Talana; Graziano Cossu, 60 di Silanus; Giampiero Serra, 55 di Ottana; Michele Sirca, 51 di Sarule; Francesco Mereu, 61 di Orune ma residente in provincia di Pordenone; Giovanni Belloni, 58 di Orani; Pasquale Salvatore Arras, 96 anni di Orune residente in Veneto; Ciriaco Sanna, 67 anni, anche lui di Orune ma trasferito in provincia di Pordenone; Giuseppe Sestu, 58 anni, di Orune; Luigi Meloni, 60 anni, residente in provincia di Piacenza. Le donne sono Bianca Maria Mereu, 62 anni di Orune residente in Friuli; Rosalia Meloni, 73 di Laconi e Giovannina Bassignana, 75 anni, di Orune residente in Veneto.

Silvana Dall’Orto, moglie dell’industriale delle ceramiche Giuseppe Zannoni, venne rapita a Casalgrande, in provincia di Reggio Emilia, e liberata sull’autostrada della Cisa l’1 maggio 1889, grazie a un riscatto di quasi 4 miliardi di lire. Su richiesta della stessa vittima, che oggi ha 73 anni e che ha sempre chiesto una verità processuale mai arrivata (gli autori del sequestro sono rimasti ignoti), l’anno scorso a marzo sono ripartite le indagini, confidando nei moderni strumenti di investigazione scientifica. Il primo marzo 2017 si era svolto l’incidente probatorio, lo strumento con cui la giustizia cristallizza le prove prima di andare a processo: il pm Francesco Caleca della Dda di Bologna, il legale della Dall’Orto Francesca Corsi e i difensori dei 16 avvisati – quasi tutti nuoresi – con l’ipotesi d’accusa di sequestro di persona a scopo di estorsione in concorso, avevano affidato ad un pool di tre periti il compito di passare al setaccio dell’analisi di laboratorio una consistente serie di reperti, tra i quali una maglietta bianca che i banditi diedero alla vittima la notte della liberazione per ripararsi dal freddo, un borsone, una tuta mimetica, una coperta e un paio di scarpe da ginnastica.

Il Dna completo è stato estrapolato però dalla saliva rimasta su un francobollo, in uno dei messaggi dei rapitori alla famiglia: è quanto ha rivelato uno dei periti del pool, la dottoressa Susi Pelotti dell’università di Bologna, ascoltata ieri sempre in udienza preliminare davanti al Gip Rossella Materia (che nel frattempo è subentrata al giudice Bruno Perla). Nella prima parte della sua deposizione la consulente era chiamata a relazionare sul lavoro svolto finora. E la dottoressa ha dichiarato di aver trovato un profilo genetico maschile completo sul francobollo, più altri profili genetici misti su altri reperti. Il Gip, su sollecitazione delle parti e del pm, ha invitata il perito a depositare entro un mese un breve resoconto su questa prima parte dell’incarico. Gli sviluppi più promettenti, però, potrebbero arrivare dalla seconda parte dell’incarico, conferita ieri: la comparazione tra il Dna estrapolato e i profili genetici dei sospettati. Il riscontro non sarà immediato, perché prima sarà necessario eseguire un prelievo di saliva su ciascun indagato: la maggior parte dei sospettati ha già dato il consenso, per chi non si è espresso si procederà al prelievo coattivo nei rispettivi luoghi di residenza. Solo dopo questo step inizieranno le operazioni di analisi di laboratorio, al via il 5 aprile. Per assicurare il tempo necessario per gli esiti la prossima udienza è stata rinviata al 13 giugno.



In Primo Piano
La lotta al tabacco

Un sardo su tre fuma e i divieti sono ancora blandi

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative