La Nuova Sardegna

Elena, maestra a Tavolara unica nella storia dell’isola

Alessandro Pirina
Elena, maestra a Tavolara unica nella storia dell’isola

La Ricco arrivò nel 1956: la scuola era una stanza in una casetta sulla spiaggia. «I miei alunni erano i pescatori: io insegnavo a scrivere, loro i segreti del mare»

01 aprile 2018
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OLBIA. Oggi è un’area marina protetta tra le più esclusive del Mediterraneo. Un piccolo regno del cinema che ogni estate vede arrivare il gotha del grande schermo. Una meta obbligata per i vip in vacanza in Costa Smeralda. Nel 1956 Tavolara non era nulla di tutto questo. Era un’isola quasi disabitata, lontanissima dalla vicina costa gallurese, un paradiso inconsapevole in cui la macchina del tempo si era fermata a qualche decennio prima. È in questo piccolo mondo antico che in una piovosa giornata del ’56 si trova catapultata Elena Cassibba, 27 anni. Con lei il marito Roberto Ricco e la figlia Betty, di 7 anni appena. Arrivavano da Roma, lui aveva vinto il concorso per fanalista e lo avevano assegnato proprio al faro di Tavolara. Da allora è passata una vita, ma Elena, oggi 89enne, ricorda come fosse ieri il suo sbarco sull’isola che le cambiò la vita. Fu lì che si sedette per la prima volta dietro una cattedra, insegnando i verbi, la geografia e le tabelline ai pochi abitanti di Tavolara che non erano mai stati in una scuola. E rimanendo di fatto l’unica maestra della storia dell’isola.

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Il dopoguerra. «Dopo la guerra ci eravamo stabiliti per un po’ a Roma, mio marito era radiotelegrafista al ministero della Marina – racconta Elena con il suo inconfondibile accento siciliano –. Dovevamo tornare a vivere a Palermo, ma erano anni in cui lavoro non ce n’era. A mio marito fu consigliato di partecipare al concorso per fanalista. Il primo che si faceva, perché fino a quel momento era un mestiere che si tramandava di padre in figlio. A Roberto mancavano 7 anni al pensionamento, lui era un ex prigioniero in Germania, uno dei 120 superstiti dell’affondamento dell’incrociatore Fiume. Gli dissero: “Hai una bambina piccola, fai il concorso e così raggiungi l’età per andare in pensione”. E così fece: andammo alla Spezia per fare il corso e ci dissero che la nostra sede sarebbe stata l’Isola del Giglio. Ma non andò così». Sul foglio consegnato al marito infatti la destinazione era un’altra. «Mio marito venne e mi disse: “ci mandano in un posto che si chiama Olbia e su un’isola chiamata Tavolara”. Io non avevo idea di dove fosse, conoscevo a malapena la Sardegna. Così presi un atlante e iniziai a cercare: trovai Olbia e nient’altro. Fino a quando non vidi una lineetta in mezzo al mare quasi invisibile. Era Tavolara. Fu uno choc, ma eravamo giovani, ci amavamo e siamo partiti».

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L’arrivo. Sul traghetto che da Civitavecchia portò la famiglia Ricco in Sardegna Elena incontrò una donna di Olbia. «Quando le dissi che ci avevano assegnato a Tavolara sgranò gli occhi: “ma è disabitata, domani mattina le faccio vedere l’isola”. Così alle 6 andai sul ponte e vidi per la prima volta quella montagna in mezzo al mare. E subito mi accorsi che non c’erano case». Una prima impressione che trovò conferma quando sotto la pioggia marito, moglie e bambina arrivarono sull’isola, accompagnati da Chinelli, il vecchio fanalista. «C’era solo la nostra casa, più il villaggio di pescatori dall’altra parte dell’isola. Fu un impatto devastante, in particolare per me, perché mio marito era stato prigioniero in Germania ed era più abituato alle avversità». Dal caos di Roma Elena si trovò catapultata in mezzo al nulla di Tavolara, che ai tempi contava poche decine di abitanti. Tutti pescatori che mai avevano frequentato una scuola. Elena invece aveva un diploma magistrale. Fece la domanda per fare delle supplenze. E nel frattempo il sindaco di Olbia, Alessandro Nanni, ottenne l’ok del provveditore per avviare una scuola proprio a Tavolara. Inevitabile che l’incarico andasse a lei, prima e unica maestra sull’isola. «Mi misero a disposizione una stanzetta in una casa sulla spiaggia abitata da due ex pastori. Trovai dei banchi, evidentemente in precedenza c’era stata una scuola. Mio marito aveva portato per me e mia figlia una poltrona letto, che la notte aprivo e la mattina richiudevo per poter fare lezione. Avevo 16 alunni, tutti analfabeti o semi. Molti erano padri di famiglia, miei coetanei e non avendo mai insegnato avevo timore mi prendessero in giro. Invece, tra noi si creò un rapporto fraterno: io insegnavo tutte le materie e loro mi raccontavano le loro avventure in mare. Devo essere sincera, se sono riuscita a superare la solitudine di quegli anni, è grazie a quei miei alunni speciali. Sono loro che mi hanno salvato».

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L’isolamento. Vivere a Tavolara non sarebbe facile oggi, figurarsi sessant’anni fa. Ai tempi l’isola contava poche decine di abitanti. Fino a qualche tempo prima c’erano una drogheria e una tabaccheria, ma all’arrivo della famiglia Ricco le due attività non erano più operative. «Una volta al mese andavamo a Olbia per fare rifornimento: farina, zucchero, olio. Avevamo fatto amicizia con i pescatori di Golfo Aranci e ci scambiavamo aiuto reciproco. Una volta ci siamo imbattuti in una sciroccata e abbiamo perso tutto il carico. Per 3 o 4 giorni siamo stati ospitati dal fanalista dell’Isola Bocca perché era impossibile raggiungere Tavolara. Un’altra volta invece per il brutto tempo era saltato il turno di rifornimento. Non avevamo più nulla, e non c’era alcun modo per arrivare a Olbia. Mio marito aveva chiamato il comandante alla Maddalena: “siamo da 8 giorni senza viveri, cosa posso dare da mangiare alla bambina? O ci mandate una nave o interrompo il servizio”. Alla fine ci mandarono la nave con i viveri, ma la nostra storia uscì sulla Nuova Sardegna. “Isolati per incuria”, era il titolo dell’articolo, a cui seguì una interrogazione parlamentare. La vicenda finì con una lettera di richiamo per mio marito».

La solitudine. A quei tempi a Tavolara non c’era grande movimento. Ogni giornata era uguale alle altre. «Solo la domenica d’estate era un po’ diversa – racconta Elena –. Arrivavano i turisti, allora tutti olbiesi, e per noi in qualche modo era una festa. Il resto della settimana non c’era nulla. Io ero abituata a Roma, alle passeggiate, ai negozi. Il sabato mi preparavo e andavo in via del Corso. A Tavolara ovviamente non lo potevo fare, ma io indossavo ugualmente il vestito elegante, mi mettevo gli orecchini pendenti e mi truccavo. Poi andavo sugli scogli per scrutare l’orizzonte e cercavo Olbia. Ovviamente non vedevo nulla, ma dentro di me pensavo: “laggiù c’è movimento, c’è festa, c’è vita”». Elena Ricco rimase a Tavolara fino al 1958, il marito invece resterà qualche anno in più, giusto il tempo per raggiungere l’età della pensione. Quella destinazione sconosciuta ha influenzato per sempre le loro vite: dalla Sardegna, infatti, non sono più andati via. Lui ha lavorato come ristoratore, lei invece ha continuato a fare la maestra. Per qualche anno a Olbia, e poi nella borgata di Murta Maria. Di fronte a Tavolara, anche se lei non è mai più tornata sull’isola. «Da allora non ci ho più messo piede. Quegli anni sono stati durissimi, ma io dico sempre che la nostra fortuna si chiama Tavolara, perché tutto è iniziato lì. Se non ci fosse stata Tavolara mai avremmo avuto la possibilità di affermarci né io nella scuola né mio marito nella ristorazione».

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