La Nuova Sardegna

Il mare sardo chiede aiuto: è soffocato dalla plastica

di Claudio Zoccheddu
Il mare sardo chiede aiuto: è soffocato dalla plastica

I ricercatori del Cnr di Oristano ne hanno rilevato 2 chili ogni chilometro quadrato Spaventano i frammenti che vengono ingeriti dai pesci che finiscono in tavola

08 aprile 2018
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SASSARI. Bastano venti minuti di pesca a traina per comprendere fino in fondo lo stato di salute del mare sardo. Ovviamente servono gli attrezzi giusti, manovrati da specialisti in grado di riconoscere il frutto di un’attività particolare. Perché Andrea Camedda, Stefania Coppa, Andrea De Lucia e Luca Palazzo sono pescatori di plastica che raccolgono dal mare per aggiornare i dati in possesso del Cnr di Oristano, dove lavorano come ricercatori. E se bastano pochi minuti di traina al largo delle coste dell’isola per raccattare diverse centinaia di pezzetti di plastica e microplastica, vuol dire che l’allarme rosso dovrebbe suonare almeno una volta al giorno.

Mediterraneo da salvare. Secondo i dati raccolti dai ricercatori, il mare che bagna la Sardegna è già pesantemente compromesso dall’invadenza della plastica la cui presenza è stata stimata, in media, in circa due chili ogni chilometro quadrato. E se la zuppa di plastica che naviga attorno alla Sardegna è chiaramente un problema, quella che invece è stata rilevata tra la Toscana e la Corisca dovrebbe far gridare al disastro ecologico: dieci chili ogni chilometro quadrato. Per fortuna la media del Mediterraneo è decisamente inferiore e si attesta sugli 811 grammi per chilometro quadrato. Adesso non resta che capire quale sia la tendenza, se orientata verso la media del Mare Nostrum oppure se diretta a raggiungere quella del Tirreno settentrionale.

L’impatto sulla fauna. Tra il “marine litter”, ovvero la spazzatura che modifica l’equilibrio del mare rispetto alla salute umana, la porzione più pericolosa è sicuramente quella occupata dalle microplastiche, frammenti di dimensioni comprese tra i 5 millimetri e i 330 micron, che ormai fanno parte della dieta dei pesci. Il problema non si limita alla salute delle specie ittiche, che sarebbe comunque già importante di suo, ma si estende a chi consuma gli stessi animali. Le microplastiche, insomma, sono già un problema per l’uomo e se recuperare la classica bottiglietta può essere un lavoro fattibile, pensare di setacciare il mare per ripescare frammenti di dimensioni microscopiche diventa davvero un’impresa titanica. Ecco perché il problema della presenza della plastica in mare viene paragonato dagli esperti solo a quello dei cambiamenti climatici.

Le contromisure. Al momento sono ancora in fase embrionale. Gli esperti studiano il problema, raccolgono dati e lanciano gli allarmi sull’invadenza della plastica. L’argomento è diventato da qualche tempo di pubblico dominio e l’immagine delle gigantesche isole di plastica che navigano negli oceani sono cartoline dell’orrore che rimbalzano dalle televisioni di tutto il mondo. Per risolvere la situazione però serve l’impegno di tutti. La teoria, però, è molto lontana dalla pratica. Secondo i dati diffusi dalla rivista “Science” ogni anno finirebbe in mare qualcosa come 8 milioni di tonnellate di plastica. Proseguendo su questi ritmi, entro il 2050 il peso specifico della plastica dispersa in mare raggiungerebbe quello della fauna ittica. E a quel punto, ritornare indietro sarebbe impossibile.

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