La Nuova Sardegna

Bombe sulla Siria, una recita che fa comodo a tutti

Nicolò Migheli
Bombe sulla Siria, una recita che fa comodo a tutti

Non una rappresaglia per un attacco chimico di cui non si hanno le prove ma una mossa per spartirsi un paese devastato

16 aprile 2018
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Ieri mattina, il giorno prima dell'arrivo degli ispettori internazionali dell'Opac incaricati di stabilire se vi sia stato uso di armi chimiche, gli americani e gli anglo-francesi hanno lanciato l'attacco. Sono stati colpiti un centro di ricerca e un deposito di armi chimiche. Vuoto quest'ultimo, se no le conseguenze sarebbero state catastrofiche. Rappresaglia, ma per che cosa? Per un attacco chimico di cui non si hanno prove certe, né su gli autori, né che vi sia stato. Ne dubitava perfino il ministro della difesa Usa il generale Mattis

I quasi sei anni di guerra siriana avrebbero dovuto abituarci che in assenza di osservatori indipendenti ogni notizia che ci proviene da quel paese martoriato potrebbe essere il frutto di operazioni di guerra psicologica raffinata. Gli stessi organi di controinformazione sono sospettati di essere arma di convincimento delle tesi di qualcuno. Conquistare l'opinione pubblica è la prima vittoria. In Siria non si combatte una sola guerra: quella dei ribelli contro Assad. Se ne combattono molte e le alleanze sono mutevoli. Assad lotta per la sua sopravvivenza e quella del suo gruppo. Arabia Saudita, gli Emirati e il Qatar - quest'ultimo è ancora presente in quel conflitto? - vogliono bloccare l'accresciuto potere di Tehran e degli Hezbollah libanesi. Israele appoggia gli jihadisti per non ritrovarsi l'Iran sui propri confini. La Turchia prima voleva la deposizione di Assad ma dopo la semi alleanza con i russi vuole solo distruggere l'autonomia dei curdi siriani ed estendere il suo controllo sul nord della Siria.

Russia e Iran appoggiano Assad. Gli Usa, alleati intermittenti dei turchi, hanno usato i curdi per combattere l'Isis e ora li abbandonano alle rappresaglie di Erdogan. Gli anglo-francesi, che con la spartizione del Medio Oriente avvenuta cento anni fa tramite gli accordi Syskes-Picot hanno gravi responsabilità sullo stato di cose in quell'area, avrebbero agito autonomamente alla ricerca dell'impero perduto se ne avessero avuto la forza, invece sono costretti a dipendere dalle armi degli Usa. Una confusione in cui si sommano la millenaria inimicizia intra-islamica tra sciiti e sunniti, e la memoria biblica degli israeliani sulla deportazione a Babilonia e la prima distruzione del Tempio. Ragioni ideologico-culturali che nascondono i pragmatici approvvigionamenti energetici.

Trump, in difficoltà per il Russiagate e per il pornogate, da una settimana annuncia bombardamenti. Dopo quel che è accaduto sembrerebbe un'applicazione del VII stratagemma dell'Arte Cinese di Vincere: «Generare qualcosa dal nulla» in funzione di obiettivi inespressi. Nello stesso tempo un'azione di de-conflitto. I militari russi e americani in questi giorni non hanno smesso di parlarsi, il fatto che la potente componente missilistica russa sia rimasta inattiva dimostra che vi era un accordo. Le minacce di quest'ultimi post bombardamento fanno parte della recita.Se le cose stanno così, perché un attacco solo dimostrativo secondo Mattis?

L'intervento russo nel 2015 ha mutato il corso della guerra. Nessuno vuole più la deposizione di Assad, i sunniti per il momento appaiono sconfitti. Vi sono due tavoli della pace, uno a Ginevra sotto egida Onu bloccato, l'altro ad Astana in Kazakistan dove i vincitori Russia, Iran e Turchia si stanno spartendo la Siria in aree di influenza contro americani, israeliani, arabi e anglo-francesi. Marta Ottaviani, corrispondente di Turchia e Grecia per la Stampa e l'Avvenire, scriveva su Fb: «Si metta agli atti che questo attacco non ha nulla a che vedere con le armi chimiche, ma serve contro Putin e per partecipare alla ricostruzione e spartizione della Siria».Una spiegazione plausibile con buona pace dello star system che si copre il viso con la mano per invocare i bombardamenti. Quanto ai seicentomila morti, ai milioni di profughi, ai torturati da tutte le fazioni in conflitto, le città distrutte, i monumenti devastati, "a perdonare". De minimis non curat praetor.

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