La Nuova Sardegna

Porto Torres, ecco come la burocrazia ha ucciso la ripresa

di Gianni Bazzoni
Porto Torres, ecco come la burocrazia ha ucciso la ripresa

Sono serviti quattro anni per il via libera alle bonifiche delle aree contaminate. Ma mancano ancora le firme del ministero e della Provincia di Sassari

26 aprile 2018
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SASSARI. Le bonifiche sono una speranza per il futuro, ma anche una sorta di rivalsa per un territorio che nel corso di oltre 50 anni ha subito le conseguenze di quello che era il progresso agganciato al treno dell’industria pesante – quella chimica – che soprattutto nei primi anni, quelli cosiddetti della Sir di Nino Rovelli, ha vissuto senza regole precise sulla tutela ambientale. E bonificare non vuol dire solo ripulire, significa soprattutto affermare un principio riconosciuto dalla legge che chi inquina deve riparare il danno, anche per fare in modo che le aree rimaste nel recinto del nulla possano essere riutilizzate e messe al servizio di nuove intraprese, non necessariamente industriali.

La storia dei territori da risanare – da Bagnoli a Porto Torres – non è solo una questione di natura ambientale. È una sfida, una battaglia di civiltà e una opportunità anche in termini occupazionali e di sviluppo economico, perché quando si recuperano spazi e si realizzano nuovi progetti si fanno passi avanti in quel difficile percorso che deve servire per dare risposte a migliaia di disoccupati. Gente che il lavoro ce l’aveva e l’ha perso, uomini e donne non più giovanissimi ma neanche troppo in là con gli anni per accedere alla pensione. E allora bonificare vuol dire davvero riaccendere una speranza nei territori dimenticati come quello di Porto Torres, dove insensibilità, distrazioni, divisioni e pesanti errori hanno trasformato la vicenda in una partita infinita.

Dal 2002 Porto Torres è uno dei 39 siti di interesse nazionale (Sin), significa che secondo i risultati acquisiti dallo Stato italiano la zona è contaminata, classificata come pericolosa e ha bisogno di interventi di bonifica per superare i danni ambientali e sanitari. Si può anche aggiungere che quello turritano dell’ex area Sir è uno degli 856 siti contaminati della Sardegna, tra discariche di rifiuti sfuggite di mano, terreni inzuppati di carburanti, aree minerarie e siti industriali. Forse il simbolo di una regione che cerca il riscatto anche sotto il profilo ambientale per cercare di diversificare le possibilità di sviluppo e aprire un ventaglio di iniziative che consentano di uscire dalla gabbia della monocultura dettata dall’industria.

Il percorso delle bonifiche, però, è come il gioco dell’oca. Si avanza di una casella e a un certo punto si ritorna indietro di due, poi ci si ferma al via, si trascorrono lunghi periodi senza risposte in attesa di analisi e valutazioni che coinvolgono enti comunali, regionali e statali. E ogni volta che ci si avvicina al traguardo c’è sempre un nuovo ostacolo, uno sgambetto pseudo istituzionale che rallenta la marcia e annulla la meta.

Sedici anni fa, dunque, Porto Torres è entrato a fare parte dei Sin, i Siti di interesse nazionale. Sembrava una vittoria da gustare tutta subito. Invece era l’inizio di un calvario. Prima la perimetrazione, poi le caratterizzazioni, quindi le conferenze di servizi (una marea). Ogni volta sembra cosa fatta, ma manca sempre uno per chiudere il conto.

Dodici anni dopo la proclamazione di area da risanare all’insegna dello slogan “chi inquina paga”, arriva la prima mossa ufficiale di Syndial (la società che cura per conto dell’Eni le operazioni nei territori da bonificare): è il 15 dicembre del 2014 quando viene trasmesso ufficialmente il “Progetto Nuraghe” alle amministrazioni pubbliche. Si chiama così “Nuraghe” perché dentro l’ex Petrolchimico c’è intrappolato anche un nuraghe, un monumento che ha resistito all’inquinamento.

L’inizio del viaggio è lento, contrassegnato da continui scossoni. Tutto il 2015 trascorre tra incontri, riunioni tecniche e richieste di chiarimenti, numeri di protocollo che si sovrappongono uno all’altro. È la burocrazia che uccide lentamente, quasi come l’inquinamento.

A gennaio 2016 (il 15), Syndial trasmette il progetto operativo che riguarda la bonifica dei suoli delle aree relative a Palte fosfatiche, collina dei veleni di “Minciaredda” e Peci Dmt. Non è roba da poco conto: a “Minciaredda”, proprio di fronte al mare, ci sono 600mila metri cubi di rifiuti industriali interrati, e la falda idrica è contaminata da clorurati e aromatici. Per procedere al risanamento è prevista una piattaforma polifunzionale e un sito per accogliere i materiali da trattare. A marzo (l’11) la Prefettura di Sassari valuta come “adeguati” gli interventi previsti. Quattro giorni più tardi la commissione tecnica del Ministero emette il verbale e con decreto d’urgenza (il numero 53) il ministro autorizza il “Progetto Nuraghe - Fase 1”.

Via alle richieste da parte di Syndial (trasmissione dei documenti alla Regione e alla Provincia di Sassari) e in piena estate - agosto 2016 (il 10) la presentazione dell’istanza per la procedura congiunta Valutazione impatto ambientale-Autorizzazione integrata ambientale (Via-Aia). L’iter vero e proprio comincia il primo settembre. Il 20 viene pubblicato l’avviso di presentazione del progetto (anche per informare la popolazione) e poco dopo Syndial trasmette a tutti gli enti interessati anche la “Fase 2” delle opere di bonifica. Il 10 ottobre avviene la presentazione pubblica perché - come prevede la legge - i cittadini hanno la possibilità di presentare osservazioni o fornire ulteriori elementi conoscitivi.

Ecco un altro anno. Il 17 gennaio 2017 la Soprintendenza Archeologica belle arti e paesaggio esprime il proprio parere favorevole. Passano due mesi e la Regione convoca insieme alla Provincia una nuova conferenza di servizi. Servono delle integrazioni e il 14 settembre Syndial presenta l’istanza di Via e Aia. Si scivola a gennaio 2018 (il 18), in Regione si svolge la seconda conferenza di servizi congiunta. Ci sono tutti gli enti, vengono esaminate e discusse tutte le integrazioni. Stavolta non emergono opposizioni sostanziali, c’è solo da chiarire eventuali interferenze tra gli interventi di sistemazione idraulica e le norme vigenti per la pianificazione urbanistica.

Il 27 febbraio 2018 la Regione delibera la Via (n. 10/9) con “giudizio positivo di compatibilità ambientale per il Progetto Nuraghe-Fase 1, Realizzazione di una piattaforma polifunzionale e di un sito di raccolta da realizzarsi nella zona industriale La Marinella nel comune di Porto Torres”. Sembra l’ultimo passo, quello decisivo.

«Partendo dal principio fondamentale che “chi inquina paga” – dice Donatella Spano, assessora regionale all’Ambiente – la giunta regionale e l’assessorato che rappresento si sono mossi in questi ultimi tre anni per rimettere in moto tutte le azioni che favorissero il confronto fra istituzioni locali e nazionali e aziende operanti sul territorio con l’obiettivo di recuperare e bonificare le aree interessate da attività inquinanti. Ad agosto 2017 il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, a seguito di un poderoso lavoro istruttorio, dei diversi tavoli tecnici coordinati dalla Regione Autonoma della Sardegna e dell’esito dei procedimenti demandati a livello locale per il rilascio delle autorizzazioni di settore, ha emesso apposito decreto, con prescrizioni, per l’avvio del progetto relativo agli interventi sulla falda del sito di Porto Torres. Entro 4 mesi la società Syndial dell’Eni dovrà iniziare i lavori sull’area interessata, estesa circa 1000 ettari». E siamo quasi a maggio 2018. Mancano ancora il Decreto ministeriale definitivo e l’Aia della Provincia di Sassari. Entrambi gli enti dicono di essere pronti, ma la loro firma ancora non c’è e i cantieri non si possono aprire, la gente non può lavorare, la bonifica non può cominciare. L’attesa continua, con la speranza che sia una questione di giorni e che non si arrivi a una nuova estate senza risposte. Se tutto è a posto perché si deve aspettare ancora? Perché la burocrazia deve continuare a uccidere un territorio che è già agonizzante?

«Sono convinto che bonificare rapidamente e bene i Siti d’Interesse nazionale presenti in Italia non possa essere considerato un obiettivo come tanti, ma quello che forse più di tutti è in grado di qualificare il livello di un’istituzione – ha detto il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti –. Per questo ritengo di assoluta importanza procedere, dando priorità a uno dei Sin tra i più complessi e compromessi d’Italia, quello di Porto Torres. Saranno in campo grandi tecnologie, trasparenza, una stretta vigilanza da parte del ministero e della Regione Sardegna sulle attività e sul rispetto degli impegni, investimenti privati per 200 milioni di euro. Il mio auspicio e insieme l’obiettivo del mio lavoro è che quanto realizzato a Porto Torres possa ripetersi in tante altre realtà difficili d’Italia, per portare a conclusione, ettaro dopo ettaro, quel compito che ogni buon amministratore deve sentire proprio, perché riguarda la qualità ambientale dell’intero Paese e insieme la credibilità della sua politica».

E allora, se davvero è così, basta con le attese. Dopo 4 anni si mettano le ultime firme, si aprano i cantieri e cominci davvero una nuova era.

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