La Nuova Sardegna

"Anche se ci hanno lasciati soli, non faremo il partito dei sindaci"

Luca Rojch
"Anche se ci hanno lasciati soli, non faremo il partito dei sindaci"

Emiliano Deiana presidente dell'Anci: il 5 maggio un incontro come altri tra amministratori. La politica ha smesso di dare risposte: "Noi siamo gli unici che ci mettono la faccia "

26 aprile 2018
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SASSARI. La trincea è il loro quotidiano. Per fare il sindaco serve una certa vocazione al martirio. Il sicuro trampolino politico del passato oggi assicura un tuffo nel vuoto. Senza risorse, tartassati dallo Stato, abbandonati dalle istituzioni. Senza scuole, uffici postali, caserme, servizi. I sindaci devono cercare di sopravvivere alla rivolta delle comunità, ai nuovi tagli che arrivano dal governo, alle tempeste delle loro maggioranze sempre più inquiete e magmatiche.

Emiliano Deiana conosce in modo perfetto la solitudine dei sindaci. Prima di essere presidente dell’Anci è primo cittadino di Bortigiadas. Concentrato perfetto delle emergenze: piccolo centro a rischio spopolamento che lotta per conservare residenti, servizi e qualità della vita.

«È vero fare il sindaco è diventato sempre più complicato – spiega –. Spesso ci troviamo da soli davanti alle emergenze quotidiane che portano i cittadini».

Da tribù a partito. Cani sciolti, spesso arroccati nei loro fortini, nelle piccole monarchie cittadine, per decenni i sindaci hanno vissuto come monadi. Chiusi nel loro campanilismo. Ma la grande crisi ha avuto un effetto dirompente. In poco tempo sono diventati re del nulla. Monarchi di regni dai forzieri vuoti. L’ostilità è diventata collaborazione. I sindaci si sono ritrovati a condividere le stesse difficoltà. Il rapporto si è cementato. «Ma nessuno parli di partito dei sindaci – dice Deiana –. Io ho un ruolo istituzionale. Li rappresento come presidente dell’Anci. So quali sono le emergenze, ma qualcuno sostiene che si stia formando un partito trasversale fatto da sindaci. Non è vero. O almeno non sono di certo io che lo sto creando. Questo non significa che qualcuno possa farlo. Ma secondo me il ragionamento deve essere differente. Prendiamo le ultime tre legislature, gli ultimi 10 anni. C’è stato un attacco incommensurabile verso i territori e le autonomie. Si è tagliato tutto. E lo hanno fatto tutti i partiti. Compresi i 5 Stelle che hanno presentato una proposta di legge per accorpare tutti i comuni sotto i 5 mila abitanti. Pensate a cosa accadrebbe in Sardegna. Tra i sindaci si è rinsaldato un sentire comune. Rinforzato dal taglio indiscriminato attuato da tutti i governi. Berlusconi, Monti, Letta. Gentiloni e Renzi hanno allentato per un solo motivo. Non c’era più nulla da tagliare. Tecnicamente il partito dei sindaci non può esistere. Quando finisci il mandato ti dimetti? Se non sei sindaco non puoi farne parte? Ma è chiaro che i partiti così come sono non riescono a a rispondere alle esigenze dei sindaci. O si riformano, o cambiano pelle o rischiano di venire superati da chi sceglie di autorappresentarsi».

Il partito dei sindaci. Deiana lo esclude, ma i sindaci sembrano sempre più trovare una linea comune. E alcuni dei motivi li spiega lo stesso presidente dell’Anci. «La crisi economica e politica ha avvicinato molto i primi cittadini tra loro e li ha allontanati dai partiti. Basta una banale osservazione. Nel 2011 l’80 per cento dei sindaci aveva una tessera di partito in tasca. Oggi l’80 per cento non la ha. Questo non è un giudizio di merito, ma una constatazione. I partiti li hanno esclusi, hanno smesso di rappresentare le comunità locali».

Ottana. Il simbolo del disagio e di una certa unità dei sindaci è il caso Ottana. Al di là dell’iniziativa del Partito dei Sardi si è vista una certa unità dei sindaci. «Gli egoismi sono stati lasciati da parte – dice Deiana –. Da tempo ci sostituiamo con un ruolo politico nei territori a una funzione che dovrebbe essere di partito».

Il 5 maggio. In altre parole il partito dei sindaci non esiste, per ora, e Deiana non lavora per crearlo. Anzi vuole anche dare un’interpretazione autentica del confronto che ci sarà il 5 maggio a Tempio tra alcuni primi cittadini: Massimo Zedda sindaco, Cagliari, Andrea Soddu, Nuoro, Carla Medau, Pula, Daniela Falconi, Fonni, Marisa Careddu, Luras, Roberto Ragnedda, Arzachena. Oltre allo stesso Deiana. «Questo non è un vertice per varare il partito dei sindaci – spiega –, ma uno dei tanti incontri in cui si discute di temi comuni agli amministratori. Un convegno promosso dal circolo culturale Don Primo Mazzolari. Mi chiedo perché si cerchi di dargli una valenza che non ha». Il partito dei sindaci per ora sembra essere un prodotto della fantasia, o forse un’anticipazione spinta da un elettorato in crisi di rappresentatività. Perché i sindaci sono quelli che mettono la faccia davanti alle emergenze. Protestano con Regione e Stato, cercano soluzioni.

Pd. Deiana parla anche del suo partito, il Pd. «Non ho mai fatto parte di nessuna corrente perché penso che limiti le persone. E credo che il partito debba discutere nei luoghi deputati. La realtà è che il Pd è ancora incartato dallo scontro del 2007 tra Soru e Cabras, e che sia fermo all’ascesa e caduta di Soru del 2004-2009. Ma il mondo è andato avanti. Come può capire un simile stallo un ragazzo che oggi ha 20 anni? O ci rivolgiamo ai giovani o il Pd è destinato a scomparire».

Il lato positivo. Ma Deiana non si limita a criticare. Elogia lo sforzo della Regione per strumenti come il Reis o l’iniziativa di Lavoras. «Certo sono tutti perfettibili, ma sono una risposta. Due anni fa erano disponibili 43 milioni, oggi sono 90. È chiaro che non è la soluzione, ma è la partenza di uno stato sociale che in Sardegna è indispensabile. La Regione si mostra attiva, si impegna. E questo va riconosciuto. Anche perché l’intervento di Lavoras non è diretto solo ai privati, ma anche alle imprese. Si aiuta in modo concreto il tessuto produttivo».

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