La Nuova Sardegna

L’agonia delle Province spiraglio dalla Consulta

di Alessandro Pirina
L’agonia delle Province spiraglio dalla Consulta

La Corte costituzionale: lo Stato ha il dovere di riassegnare le risorse sottratte Agus, presidente della commissione Autonomia: pronti alla battaglia giudiziaria 

20 maggio 2018
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SASSARI. La Corte costituzionale lancia una ciambella di salvataggio alle Province, ma ora tocca alla politica sarda alzare la voce. A onore del vero, già due anni fa la Consulta aveva emesso una sentenza favorevole alla situazione sarda, ma da allora nulla è cambiato. Se non che il calvario delle Province si è trasformato in agonia e il rischio crac si fa sempre più concreto. Da Roma non arriva più un euro, e le risorse che di diritto spetterebbero agli enti intermedi vengono trattenute oltre Tirreno. Una situazione che viene bocciata dalla Corte, che nel 2016 come nel 2018, pur respingendo un ricorso della Regione Veneto, ha ribadito la sussistenza del dovere dello Stato di riassegnare a Province e Città metropolitane le risorse sottratte. «Già due anni fa la Consulta aveva stabilito che lo Stato non può prendersi risorse senza dare un corrispettivo alla Regione – spiega Francesco Agus, presidente della commissione Autonomia del Consiglio regionale –. È invece quello che è accaduto: lo Stato si è preso le risorse, ma le funzioni sono rimaste alle Province. Anche questa volta la Corte ha respinto il ricorso perché le cifre non sono state ben contabilizzate dalla Regione Veneto, ma ha ribadito lo stesso concetto: quelle risorse devono ritornare alla base».

L’agonia degli enti. La via crucis delle Province ha avuto inizio nel 2013 quando lo Stato ha prima ridotto e poi azzerato i trasferimenti. Ogni anno 46 milioni di risorse in meno nelle casse della Sardegna. Da quel momento, inoltre, tutti gli enti locali sono tenuti a partecipare al Fondo unico di solidarietà: la Sardegna con 102 milioni all’anno, di cui 36 dalle Province. Soldi che, vista la situazione, gli enti non hanno a disposizione. Pertanto, lo Stato ha deciso di trattenere le uniche due entrate che spettano alle Province: gli incassi dell’imposta di trascrizione e della Rca auto. 26 milioni di euro che ogni anno mancano all’appello.

Le sentenze. Ora quelle due sentenze ridanno fiato a una battaglia che finora è stata combattuta forse con le armi un po’ scariche. «In questi anni abbiamo fatto pressioni sia con la giunta che con il Parlamento anche nell’ultima Finanziaria – dice Agus –, ma purtroppo senza grandi risultati. Addirittura le Province sarde sembrano avere un valore inferiore rispetto a quelle ordinarie. Un pregiudizio nei confronti della Sardegna che è incomprensibile. È arrivata l’ora di essere più forti e uniti per fare valere i nostri diritti. Occorre portare avanti una battaglia molto più efficace rispetto a quella fatta finora. È un tema che non può essere affrontato in maniera burocratica: non possiamo permettere che non si faccia la manutenzione ordinaria nelle scuole o nelle strade».

La sfida allo Stato. Il consigliere di Campo progressista traccia la linea da seguire nelle sfida allo Stato. «Per dare attuazione ai principi enunciati dalla Corte dobbiamo sollecitare governo e Parlamento affinché adottino con urgenza un’apposita variazione alla legge di bilancio per inserire il trasferimento alla Regione di una somma pari a quella necessaria per il finanziamento della Regione stessa o degli entri subentrati nell’esercizio delle funzioni provinciali non fondamentali – spiega Agus –. Poi va approvata una variazione al bilancio della Regione 2018-2020 per inserire un’entrata, derivante da trasferimento dello Stato, quantificata sulla base dell’analisi degli oneri attualmente sostenuti per lo svolgimento delle funzioni provinciali non fondamentali». Ma soprattutto Agus invita la Regione ad attrezzarsi per affrontare l’eventuale contenzioso che il governo potrebbe attivare davanti alla Corte Costituzionale. «La battaglia ormai non è più solo politica ma va pensata in termini di ricorsi. Siamo davanti a una lesione statutaria e forse sarebbe il caso di fare un appello anche al presidente della Repubblica».

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