La Nuova Sardegna

Va via il questore Aliquò, trasferito il castiga-Sartiglia

Simonetta Selloni
Va via il questore Aliquò, trasferito il castiga-Sartiglia

Andrà alla direzione centrale a Roma: «Felice della mia esperienza in Sardegna. La mia attenzione rivolta sempre ai più giovani e alla loro difesa dalla droga»

23 maggio 2018
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ORISTANO. Otto giorni per fare le valigie. Giovanni Aliquò, 57 anni, messinese d’origine, 14 mesi da questore a Oristano, e gli ultimi tre nell’occhio del ciclone per le vicende legate alla Sartiglia, il primo giugno 2018 lascerà il suo ufficio di via Beatrice d’Arborea e lascerà il posto a Ferdinando Rossi, vice questore vicario di Cagliari. Per Aliquò, destinazione Roma, Direzione Centrale per le risorse umane, consigliere ministeriale aggiunto per le esigenze dell’area di staff. Che, detto così, è un gran bel ruolo. Se non fosse che.

Dottor Aliquò, diranno che l’hanno mandata via per la gestione della Sartiglia.

«Non la vedo così. Sono onorato della scelta che ha fatto il Capo della polizia, mi colloca in una posizione di assoluto prestigio. E in più mi consente di stare vicino alla mia famiglia. Direi che mi sento più che appagato da questa scelta».

Ma quale ruolo attribuisce alla questione Sartiglia con le contestazioni sull’antidoping prima, durante e dopo, l’inchiesta, le polemiche?

«Il problema è interpretare correttamente il ruolo del Questore come autorità di pubblica sicurezza: valorizzare la rete di sensori, intercettare i segnali che arrivano dal territorio, interpretarli per coordinare i servizi. Il lavoro fatto per la Sartiglia è stato nel solco dell’attenzione, della cura e dell’amore per i più giovani».

Si spieghi meglio.

«L’ho già detto con chiarezza altre volte: il mio obiettivo era ed è tutelare i giovani dall’insidia della droga. Perché ancora prima che di legalità astratta, bisogna fare un discorso di cultura. Vale a dire chiarire a tutti cosa è la Sartiglia e cosa rappresenta: un veicolo di valori positivi. Il rischio che possa diventare il cavallo di Troia del modello sub-culturale del doping, degli stupefacenti doveva e deve essere scongiurato».

Uso di stupefacenti e Sartiglia: un accostamento che ha squarciato il velo su un aspetto sorprendente. Almeno all’apparenza.

«C’era da affrontare una situazione che ci era nota attraverso due filtri: la verità e il coraggio. Prendermi davvero cura dei giovani e del messaggio che poteva arrivare da un potente veicolo come la Sartiglia è stata una parte di una politica non solo repressiva ma di autentica legalità, di rispetto per la vita e le famiglie».

Vuole dire che questo aspetto era noto ed è stato ignorato?

«Non voglio dire questo. Ma i dati che arrivavano dal territorio ci dicevano che sempre più certe sostanze si diffondevano tra giovani e meno giovani e anche tra i cavalieri, purtroppo. E l’analisi indicava che il fenomeno andasse affrontato, senza ipocrisia, senza fingere che nulla fosse».

Quindi ha iniziato a chiedere ai cavalieri che si sottoponessero ai controlli antidoping.

«Le informazioni assunte lasciavano chiaramente intendere che in alcuni gruppetti della Sartiglia circolassero sostanze eccitanti non autorizzate. Sono ancora una minoranza. Mentre i cavalieri che rifiutano questo modello di sub-cultura sono la netta maggioranza».

Si è sentito sostenuto in questa scelta? È stato criticato non solo dai cavalieri ma da tutta l’organizzazione della Sartiglia. Per non parlare dei social.

«La mia è stata una scelta difficile da sostenere, anche da un punto di vista operativo. Ho avuto dalla mia il Ministero, che ha creduto in questo lavoro e sono certo che lo sosterrà ancora. Ho avuto il sostegno di una parte della città, specie nelle scuole e anche in quel mondo di veri amanti della Sartiglia che rifiuta categoricamente certe logiche. Per gli altri, io dico che il tempo è galantuomo. Sui fatti che devono essere accertati è competente la procura. Io dovevo fare la prevenzione e mandare segnali univoci».

Non ha nulla da rimproverarsi? Difetti di comunicazione?

«Io sono stato chiaro sin dal mese di ottobre 2017. Ci sono stati molti incontri, informali e riunioni formali in Questura e Prefettura anche sugli aspetti minimi. Arrivati a un certo punto, però, se c’è una norma da rispettare, la si rispetta. Se poi qualcuno pensava di potersi sottrarre, sbagliava, evidentemente».

Ma perché il mondo della Sartiglia perbene non ha reagito, almeno ufficialmente?

«Ho incontrato autentici signori, persone che hanno a cuore la Sartiglia e che la vivono in modo positivo, come la si deve vivere. Devono sapere che sono la maggioranza. Bisogna incoraggiarli a non sentirsi soli. E comunque non sono solo il questore della Sartiglia: prenda l’Ardia a Sedilo, o Sa Carrela ’e nanti a Santu Lussurgiu: nessun problema, controlli fatti da tutti. Piena accettazione delle regole».

Sartiglia a parte, cosa avrebbe voluto fare a Oristano che invece non è riuscito?

«Sicuramente avrei voluto girare più per i Comuni, conoscere più sindaci. E fare in modo che in questura le dotazioni e i mezzi fossero rinnovati con più celerità».

C’è qualcosa che vuole citare in particolare?

«Sicuramente il lavoro fatto con il centro antiviolenza Donna Eleonora a tutela delle donne maltrattate. Le operatrici del Centro sono state eccezionali. E poi ringrazio i miei funzionari e il personale della Polizia di Stato, mi sono stati vicini. Come vicine ho avuto l’Arma dei carabinieri e la Guardia di Finanza».

Cosa porta con sé Aliquò andando via da Oristano?

«Il grande senso di comunità e la religiosità che si vive a Oristano e in Provincia, mi hanno colpito. Poi le strette di mano delle persone, i sorrisi, gli occhi dei ragazzini delle elementari ai quali l’altro giorno abbiamo presentato il nostro diario della Polizia. Ecco, queste cose, potendo, me le porterei via».

Ma sarebbe un furto...

«No. Un altro atto d’amore».
 

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