La Nuova Sardegna

Intervista ad Angelo Becciu: "Chiesa baluardo contro la fuga dall'isola"

Luca Rojch
Il cardinale Angelo Becciu
Il cardinale Angelo Becciu

Il nuovo cardinale racconta in esclusiva il suo rapporto con la Sardegna: "Con lo Stato che va via dai piccoli comuni, i parroci restano l'unico presidio"

25 maggio 2018
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SASSARI. Il futuro è di porpora, ma nel suo cuore Angelo Becciu ha sempre l’abito talare da prete di campagna. Il nuovo cardinale scelto da Papa Francesco racconta con nostalgia quando lui, giovane seminarista, incontrò una sua vicina. La donna gli prese il braccio e profetizzò: «Un giorno sarai cardinale». Lui sorrise. «E ancora oggi ricordo che pensai che al massimo sarei riuscito a fare il parroco di paese».

Ma monsignor Becciu, anima da profondo cristiano e spirito da diplomatico, ne ha fatta tanta di strada. A Roma porta sempre con sé la sua Sardegna e parla volentieri della sua isola. E lo fa in una intervista in esclusiva per La Nuova in cui affronta anche i temi più complessi. Parla dei mali che affliggono la Sardegna, dallo spopolamento, alla natalità zero, all’emergenza lavoro.

Si aspettava la nomina a cardinale?

«Aspettarla no. Non ero di certo in ansia. È vero, c’era qualche voce in giro su una possibile nomina, ma mi lasciava indifferente. Io pensavo a svolgere il mio servizio, come sempre. Quando il Papa me lo ha comunicato ho avuto un momento di sorpresa e un sussulto. Ho accettato con serenità, ma anche con qualche tremore per questo ulteriore segno di benevolenza così importante».

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Nel suo paese natale, Pattada, c’è stata una vera festa di popolo domenica.

«Posso immaginarlo. Sapevo che avevano suonato le campane, sono arrivati tantissimi auguri, anche attraverso i miei fratelli, ma non pensavo a una mobilitazione generale. Credo che questa nomina sia stata interpretata in modo corretto non come un riconoscimento alla mia persona e a meriti singoli. Ma come un onore che è stato dato a tutta la Sardegna. E di questo vado fiero».

Qual è stato il suo primo pensiero dopo aver saputo che sarebbe diventato cardinale?

«Ho pensato a una cosa che mi era successa tanto tempo fa. A una vecchietta che abitava accanto a casa, a Pattada. Quando da ragazzino partii per il seminario mi fermò e mi disse: “Diventerai cardinale”. Non la presi sul serio, pensavo che al massimo avrei fatto il prete di parrocchia».

Il Papa domenica all’Angelus l’ha nominata cardinale, ma ne aveva parlato con lei?

«A dire la verità qualcosina me la aveva anticipata. Mi aveva detto: “Guarda che qualcosa succede domenica, ma lo devi tenere per te”. Non era stato molto esplicito. Io avevo intuito, ma la notizia mi è arrivata dalla finestra».

È già prevista la sua destinazione?

«Certo, è previsto un altro incarico, ma il Papa lo deve formalizzare. Sarà qui a Roma».

In un’era che sembra sempre più post ideologica qual è il ruolo dei cattolici in politica?

«Non do giudizi sulla situazione politica. Non mi spetta, ma da cristiano devo riconoscere che i cattolici in politica sono un po’ scomparsi. E lo dico non in un modo nostalgico. Ci sono cattolici che a titolo personale portano avanti il messaggio cristiano e lo fanno con impegno. Ma resta una posizione individuale, manca un contributo organico dei cattolici alla politica. Non dico questo perché qualcuno possa andare alla ricerca di poltrone o potere personale, ma perché i valori del cattolicesimo costituiscono un contributo importante al progresso della società e al miglioramento dell’impegno in politica. Mi rifaccio al concetto che ispirava Paolo VI: “La politica è la più alta forma di carità”, perché è un servizio al paese e ai cittadini. Si deve essere convinti che la cultura cattolica sia un capitale di ideali. E che la dottrina della Chiesa debba essere messa a disposizione di tutto il Paese. Il mio non è uno sguardo rivolto al passato, ma è la ricerca di un sentimento di solidarietà e di condivisione di un messaggio, che è quello cristiano. Un valore da trasmettere al Paese».

La spaventa il fatto che slogan come “prima gli italiani” o in generale una certa intolleranza nei confronti dei migranti e degli emarginati prenda sempre più piede in Italia, in Europa e anche nell’America di Trump?

«I cristiani oggi devono sapere che vanno controcorrente, perché la mentalità che si diffonde nella maggioranza è di rinchiudersi nei propri confini. Ma noi dobbiamo costruire ponti e non muri, come dice bene il Papa. Bisogna tenere insieme il dovere dell’ospitalità e l’esigenza dell’integrazione. A chi viene soccorso deve essere garantita una accoglienza vera. Se c’è qualcuno che bussa alla tua porta è impossibile non accoglierlo. Ciò non esime da attuare politiche per regolare i flussi e aiutare i Paesi da cui questi migranti arrivano. Noi, proprio in quanto cristiani, dobbiamo esprimere il nostro senso di accoglienza e di fraternità, e garantire la dignità di ogni persona».

L’isola è sempre al centro delle sue attenzioni. Lei arriva da un paese dell’interno, Pattada, e dalla piccola diocesi di Ozieri, entrambe soffrono dello stesso male che attanaglia i centri dell’interno, lo spopolamento. Secondo lei si può fare qualcosa per evitarlo?

«Per prima cosa, posso dire che la Chiesa presta la massima attenzione a questo fenomeno che svuota i centri dell’interno e impoverisce le comunità, perché le priva in particolare dei giovani. Sa qual è il motivo che ha convinto il Papa a non modificare il perimetro di alcune piccole diocesi e a non cancellarle, anche se esisteva la necessità di un accorpamento? Il tema dello spopolamento. Ci si è resi conto che con la fuga dello Stato dai comuni di media collina e delle zone interne la Chiesa è rimasto l’unico presidio. Lo Stato si ritira e i cittadini avvertono un forte senso di abbandono. La Chiesa rimane come un baluardo a confermare e rafforzare il senso di comunità. Ma è chiaro che per combattere le cause e le radici dello spopolamento deve intervenire la politica. Servono scelte forti e ingegnose. Si deve consentire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, si deve dare loro la possibilità di affermarsi come imprenditori, di creare nuove attività. Il cuore di questa crisi è proprio nella fuga dei giovani».

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Sa che la Sardegna è ultima in Italia per tasso di natalità? I giovani non fanno più figli, perché?

«Questo dato mi preoccupa molto. Se i giovani della nostra Regione non trovano una certa stabilità e sono costretti ad andare via, come possono mettere su famiglia e fare figli? Chi resta deve essere in grado di mantenere uno stile di vita dignitoso e avere la possibilità di costruire una famiglia. E credo che questo sia un punto di arrivo per tutti i giovani. Negli anni Ottanta il tasso di natalità in Italia e Spagna era superiore a quello dei paesi del Nord Europa e a quelli dell’Europa continentale. Oggi non è così. A cambiare questa tendenza sono le politiche per la famiglia attuate dai vari governi».

La Sardegna è passata dall’essere in testa per numero di figli negli anni Sessanta, a essere ultima in classifica nel 2018.

«E la spiegazione consiste proprio in questo. Si è passati dal boom degli anni Sessanta, alla debolezza delle politiche della famiglia. Ma questa è una carenza che parte da lontano e non può essere ascritta solo ai politici dei giorni nostri. Servono sussidi, scuole, aiuti alle coppie che hanno figli».

In passato aveva messo in evidenza come determinate infrastrutture, come il Mater Olbia, siano indispensabili per far crescere la Sardegna, ne è ancora convinto?

«Il nostro impegno è nato da una proposta concreta e da una possibilità che veniva data ai sardi. Ci è stato chiesto se si poteva aiutare la costruzione di un ospedale di eccellenza in cui potevano essere curati i sardi. Un ospedale pubblico e non privato. Una struttura che avrebbe creato posti di lavoro e cure di alto livello per tutti. Un’occasione unica. Noi non entriamo in modo diretto nella gestione, ma si è creata una occasione per fare del bene alla Sardegna in modo concreto. Per questo ci siamo impegnati. Un ospedale di eccellenza consente ai sardi di cancellare i viaggi della speranza verso la Penisola e il resto dell’Europa. Un tema che diventa ancora più centrale se si pensa che spesso sono i bambini a soffrire di più. Ecco perché sosteniamo il Mater».

Quando tornerà in Sardegna da cardinale?

«È presto per dirlo. Devo ancora lavorare a Roma. Non ho fatto programmi. Per ora posso solo confermare che sarò a Pattada il 29 agosto per la festa patronale del mio paese».

E riuscirà a convincere il Papa a visitare ancora una volta l’isola?

«La prima volta Papa Francesco venne in Sardegna per una sua immediata intuizione. Ora non so dire quando tornerà, ma dobbiamo essere meno egoisti e capire che ci sono tante regioni in cui la presenza del Papa è richiesta. Certamente, spero che ci sarà qualche occasione di evangelizzazione per cui Francesco tornerà da noi».

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