La Nuova Sardegna

Il Pd in piazza a difesa del Colle

di Serenella Mattera
Il Pd in piazza a difesa del Colle

La parola d’ordine è «unità». E c’è chi invoca il ritorno di Matteo Renzi alla guida

29 maggio 2018
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ROMA. Ritrova la piazza, il Pd. E congela il congresso. L'emergenza urne costringe infatti i Dem a unire le forze per evitare che la sconfitta del 4 marzo diventi un baratro in autunno. Matteo Renzi è già in campagna elettorale: si può creare, assicura, un fronte largo «repubblicano» ed europeista che porti alla «rivincita». Ma il pessimismo dilaga nel Pd e l'attivismo dell'ex segretario irrita la minoranza. I «non renziani» invocano da subito Paolo Gentiloni alla guida di una coalizione di centrosinistra. E liste che indichino forte «discontinuità» rispetto al renzismo. Ma se ne parlerà solo dopo aver archiviato la questione Cottarelli: votare la fiducia o astenersi?, è il dilemma. Si farà - dicono all'unisono i Dem - quanto sarà necessario per sostenere l'iniziativa di Mattarella. Il reggente Maurizio Martina dice «sì» a Cottarelli già in mattinata. Ma i dubbi tra i Dem sono tanti. Non solo tra i renziani, che ricordano le ruggini tra l'allora commissario alla spending review e il premier Renzi. Ma anche nelle chat dei parlamentari di minoranza circola la domanda: non si rischia di pagare troppo cara nelle urne la scelta di sostenere da soli il governo Cottarelli? Una decisione non è presa. Ma su un punto i Dem sono d'accordo: bisogna sostenere Mattarella, dunque se ci si potrà astenere bene, sennò si vota la fiducia. Ne parleranno i gruppi oggi e la direzione tra mercoledì e giovedì. Intanto, si torna in piazza. «In difesa della Costituzione e del presidente della Repubblica», sottolinea Gentiloni twittando una foto delle persone riunite nel pomeriggio a piazza Castello a Torino. Oggi, annuncia Martina, ci saranno presidi in diverse piazze e venerdì 1 giugno, alla vigilia delle piazze anti-quirinalizie di M5s e Lega, «due grandi manifestazioni a Roma e a Milano a difesa delle istituzioni». «Abbiamo il dovere di reagire», suona la carica Renzi in diretta su Facebook dal suo ufficio di Palazzo Giustiniani: le elezioni saranno «una battaglia incredibile tra chi vuole uscire dall'Europa e chi vuole un'Italia forte ma dentro l'Europa». L'estrema speranza dei Dem è che si possa evitare il voto subito e arrivare al 2019: «Siamo pronti a votare la legge di bilancio che sterilizzi le clausole di salvaguardia», dice un dirigente renziano. Ma pochi ci credono: le urne sono vicine. E circola nelle chat del partito, seminando il terrore, uno studio dell'Istituto Cattaneo secondo cui M5s e Lega vincerebbero alleati il 90% dei collegi uninominali. La polarizzazione, però, sono convinti Renzi e Carlo Calenda, può aiutare il Pd a coalizzare un ampio fronte Repubblicano. «Ci potete scommettere che mi candiderò», annuncia Calenda. Dario Franceschini, che vede Martina al Nazareno, invoca unità. Quella unità - sono convinti in Area Dem - può darla Gentiloni, al cui fianco potrebbero schierarsi i «padri», da Walter Veltroni a Romano Prodi, oltre che Nicola Zingaretti e gli ex di LeU. «Non ci si può dividere ora», concorda Renzi. Ma sul profilo della coalizione già si discute («Non possiamo tenere dentro da Cento a Calenda», dicono i renziani). E soprattutto si apre lo scontro su chi farà le liste: Enrico Gasbarra chiede il ritorno di Renzi alla guida del partito ma dalla minoranza replicano che non si possono lasciare a lui le liste, «sui nomi serve discontinuità».

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