La Nuova Sardegna

Omicidio di Ottava, la fidanzata di Ventriglia: «È giusto che paghi»

Daniele Ventriglia
Daniele Ventriglia

Parla Sarah, giovane madre della figlia dell’assassino: «Alla piccola ho detto che è andato a lavorare»

03 giugno 2018
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SASSARI. Alla piccola hanno raccontato che il papà è andato via per lavorare. Ci vuole molto coraggio per dire a una bimba di quasi tre anni che dovrà crescere senza il suo “babbu”. Daniele Ventriglia era il suo compagno di giochi. Trascorreva con lei moltissimo tempo, era un padre molto affettuoso.

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«Guardarlo faceva tenerezza – dice la compagna Sarah Scanu – anche perché io sapevo cosa c’era dietro questo rapporto. In fondo riversava in lei ciò che non ha mai avuto lui. Cioè un’infanzia piena di amore e di tranquillità. Ciò che Daniele non ha mai capito, è che per costruire la serenità familiare occorreva anche altro, e che le premure, i regali, e gli abbracci alla figlia non potevano bastare. È sempre stata un’anima inquieta, uno che non accetta le regole. Ha rubato, ha fatto una marea di cavolate, ha sempre fatto finta di ascoltare le raccomandazioni e prenderlo di petto non è mai servito a nulla. Perché reagiva male. Non era capace di confrontarsi, perché non riusciva a esprimere in maniera chiara le emozioni. Si agitava, si chiudeva in se stesso». Implodeva nella sua introversione. Perché non era capace di tradurre in parole quel disagio che mai, dagli otto anni, l’aveva abbandonato.

«Lo conoscevano tutti, e sapevano del suo passato e di come era fatto. Daniele era sicuramente un ragazzo complicato. Io lo so bene, perché mi sono innamorata di lui anche per questo. Aveva bisogno di aiuto, pensavo di salvarlo. Quante ragazze sono mosse da questo sentimento?».

«Però non era uno cattivo, o almeno non sembrava. Mai avrei potuto pensare che potesse essere capace di uccidere qualcuno. Questo è terribile, e non potrò mai prendere le sue difese per un gesto inaccettabile. Lui sarà sempre il padre di mia figlia e non lo abbandonerò, ma è giusto che paghi per la sua colpa».

Però Daniele, forse, era una bomba che poteva essere disinnescata: «I grandi hanno responsabilità in ciò che è successo. Daniele aveva il suo carattere e i suoi problemi, ma i grandi dovrebbero avere più saggezza. Perché provocarlo così, perché spingere un ragazzo con evidenti difficoltà sino a questo punto di esasperazione, perché toccarlo chirurgicamente sui suoi nervi scoperti, cioè sulla bambina?». Ci sono due punti di non ritorno in questa storia. Il primo è un episodio successo un po’ di tempo fa.

«Antonio Sanna, il padre di Eleonora, accusava Daniele di avergli danneggiato l’auto. C’erano dei vecchi dissapori tra loro. E sinceramente non so se questi dispetti fossero veri o meno. Lui ne combinava parecchie, ma c’era anche la tendenza ad attribuirgli ogni casino che succedesse a Ottava. Ma un giorno Antonio Sanna l’ha affrontato e gli ha tirato uno schiaffo. Daniele aveva in braccio la bimba. Questa umiliazione non l’ha mai digerita».

L’altro cortocircuito è il sabato prima dell’omicidio. «Monica, la moglie di Antonio, è andata in un circolo dove si trovava Daniele e l’ha accusato per una scritta molto offensiva nei suoi confronti comparsa su un muro. Il litigio è avvenuto davanti agli amici di Daniele. Ma lui si è sentito perso per un’altra frase: “sei un pregiudicato, vedrai che faremo intervenire i servizi sociali e ti porteranno via la bambina”. In fondo è la stessa cosa che è successa a lui quando aveva 8 anni. Perché provocarlo e ferirlo in questo modo?».

La domenica dell’omicidio Daniele e Sarah sono insieme a cena. «Lui voleva uscire con gli amici, io gli avevo raccomandato: stai alla larga dal circolo, non cercare guai. Dovrà spiegarmi perché ha fatto l’esatto contrario. Probabilmente è andato per provocare, ma non credo per uccidere. Non è mai stato un violento, niente zuffe, non era attaccabrighe. Non poteva nemmeno permetterselo, non aveva il fisico. Era esile, malato di cuore, era invalido. A parole o sui social faceva il gradasso, si dava un tono per mascherare le insicurezze. Diceva di voler picchiare tutti. Ma se lo incrociavi per strada era completamente diverso».

Il senso di inferiorità talvolta si trasforma in zanne e artigli. «Credo che con Nico abbia agito d’impulso, forse per paura. Con lui non c’erano dissapori, se non quella sera al circolo. Nico lo aveva cacciato prendendolo per il colletto. Daniele sapeva che in uno scontro fisico non ci sarebbe stata partita. Per questo è salito a casa e ha preso i coltelli da cucina. Rovinando la vita di tutti. Appena sarà possibile andrò in carcere a trovarlo. Voglio guardarlo negli occhi e chiedergli cosa gli sia passato per la testa». (lu.so.)
 

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