La Nuova Sardegna

La ricerca fatta nell'isola: «Le cellule del feto combattono la nascita dei tumori»

di Gabriella Grimaldi
La ricercatrice Grazia Fenu
La ricercatrice Grazia Fenu

Lo studio è di una docente dell’ateneo sassarese. Dagli amniociti presto potrebbe arrivare una terapia

08 giugno 2018
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SASSARI. Ci sono cellule che in gravidanza fanno la guardia al bambino perché non si ammali. Apparentemente sono inerti ma se entrano in contatto con cellule tumorali si “armano”, le circondano, se le mangiano e le digeriscono distruggendole. Una forza immane scatenata per difendere la vita, un potere che spalanca scenari da brivido sulla cura del cancro. E la scoperta ha colto di sorpresa persino chi l’ha fatta: Grazia Fenu Pintori, 54 anni sassarese, una figlia, ricercatrice e professore associato di Anatomia umana nella facoltà di Medicina dell’università turritana. Magrissima, alta, avvolta nel camice immacolato, se ne sta seduta nel suo studio all’Istituto di Anatomia patologica, dove praticamente trascorre tutto il suo tempo, in mezzo a vetrini e provette o davanti al pc.

Sette anni fa l’intuizione che poteva trovarsi davanti a qualcosa di estremamente importante per il progresso scientifico è arrivata da una frase che lei stessa aveva pronunciato durante una lezione alle ostetriche per spiegare la funzione del sacco vitellino in gravidanza. «Questo involucro protegge il feto da ogni insulto», aveva detto quel giorno Grazia Fenu Pintori. E poi, uscendo dall’aula ci aveva rimuginato sopra. «Da ogni insulto... soprattutto dall’assalto del cancro di cui il nascituro non si ammala. Allora pensai al funzionamento delle cellule che formano quel sacco, al loro compito, al programma scritto nel dna».

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E il compito prevalente è di proteggere il feto da traumi di natura meccanica ma anche di attivarsi e distruggere le cellule patologiche che minacciano la salute del nascituro. Quindi la scoperta che gli amniociti, le unità biologiche presenti nel sacco vitellino e nel liquido amniotico, messe a contatto con le cellule tumorali di alcune tipologie osservate in laboratorio, si trasformano in macrofagi, cioè letteralmente capaci di mangiare e distruggere le cellule maligne. Un risultato potenzialmente rivoluzionario nella cura delle patologie oncologiche che oggi è protetto da brevetto in Europa e negli Usa e che aspetta di essere condiviso con la comunità scientifica attraverso la pubblicazione in riviste specializzate e ulteriormente verificato con l’indispensabile sperimentazione clinica.

Una scoperta che appare tanto semplice quanto sorprendente, quella di Grazia Fenu Pintori: il materiale inviato a suo tempo alla commissione scientifica del centro brevetti infatti è stato analizzato per due anni e nel 2017 è arrivato il riconoscimento, solo il primo passo del percorso che eventualmente porterà a una cura vera e propria.

«Gli amniociti – spiega la ricercatrice – sono programmati per svolgere una funzione a termine: una volta che il bambino viene alla luce con addosso ancora i residui biancastri del sacco vitellino, le cellule che lo costituiscono cessano di esistere. Dunque non contengono, come le cellule staminali, una memoria a lunga scadenza specifica per “costruire” una parte del corpo umano, ad esempio le ossa o un organo. Diciamo che sono dormienti e anche estremamente lente nella riproduzione, si potrebbero definire dei bradipi, ma se si trovano a contatto con unità biologiche potenzialmente pericolose si svegliano improvvisamente e attaccano».

A questa conclusione la docente dell’università sassarese è arrivata dopo una infinita serie di esperimenti in vitro, cioè in laboratorio. Dalle immagini realizzate per dimostrare il modo di agire degli amniociti si vede in maniera chiarissima come questi ultimi si organizzano per accerchiare, inglobare e distruggere le cellule “nemiche”. Nelle prime 24 ore è possibile osservare che le cellule tumorali, in questo caso carcinoma della mammella, si moltiplicano in maniera esponenziale per colonizzare i tessuti. Dopo 36 ore però gli amniociti stanno già cominciando ad allungarsi e unirsi fra loro quasi a formare un cordone che accerchia le cellule cancerose. Dopo 72 ore le unità biologiche malate risultano scomparse, fagocitate dagli amniociti. Qualcosa di stupefacente che ha colto di sorpresa per prime Grazia Fenu Pintori e la sua collaboratrice, la biologa Maria Antonietta Moro: «Ci si potrebbe chiedere come mai nessuno fino ad ora si sia accorto di questa capacità prodigiosa degli amniociti. Ma io mi sono data una spiegazione: noi biologi estraiamo dalle cellule i cromosomi per analizzarli e non le vediamo nella loro interezza, la professoressa Fenu Pintori invece, partiva da una prospettiva diversa, quella anatomica. Ha visto le cellule nella loro conformazione (identica a quella dei macrofagi) e ne ha osservato il comportamento».

Gli esperimenti delle ricercatrici si sono indirizzate su due tipi di tumore: il carcinoma della mammella e il neuroblastoma, un tumore infantile maligno. In entrambi i casi gli amniociti hanno mangiato e digerito le cellule cancerose.

L’università ha dimostrato di credere nella ricerca finanziando il brevetto ma ora il progetto necessita della conseguente e indispensabile fase di sperimentazione clinica. Grazia Fenu Pintori è stata contattata da alcune case farmaceutiche, le uniche in grado di sostenere i costi della sperimentazione. Ma già da subito arriveranno le pubblicazioni sulle riviste scientifiche specializzate e le presentazioni nei congressi medici. Ci vorranno almeno tre anni per le prime conclusioni cliniche ma l’idea di arruolare come killer dei tumori le cellulle guardiaspalla dei feti sembra essere vincente. E a quanto pare vale la pena attendere tutto il tempo necessario.


 

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