La Nuova Sardegna

Il coro di donne: «Sveglia basta con il maschilismo»

di Paolo Merlini

Le Bendas contro Sos Canarjos dopo il rifiuto di esibirsi insieme al Redentore Bandinu, una delle voci femminili: i tempi sono cambiati, devono chiederci scusa

10 giugno 2018
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NUORO. Sono donne normali con la passione per l’arte, che vivono la musica anche come strumento di impegno sociale e di genere: pochi mesi dopo la nascita, nel 2016, hanno partecipato a un concerto regionale contro la violenza sulle donne, a Pasqua di quest’anno si sono esibite per i pazienti dell'ospedale oncologico Businco di Cagliari. Chiaro che le Bendas, il primo e unico coro femminile ispirato alla tradizione sarda nato a Nuoro, non potevano accettare supinamente il rifiuto del coro Sos Canarios a esibirsi con la loro alla messa sull’Ortobene in occasione della prossima festa del Redentore, ma soprattutto non sono disposte a passare sopra alle motivazioni addotte dal presidente del coro Graziano Secchi in una lettera protocollata in Comune: il folklore è una cosa seria, a Nuoro il canto corale in chiesa è riservato agli uomini, dice in sostanza, e prima, donne, mettetevi a studiare. Ne abbiamo parlato con Daniela Bandinu, una delle ventidue coriste.

Come è nato Bendas?

«A Nuoro c’erano solamente cori maschili e volevamo dare voce anche alle donne, visto che c’erano cori femminili già da tempo a Fonni, Dorgali e Mamoiada. Facciamolo anche noi, ci siamo dette due anni fa, così magari portiamo una ventata di freschezza nella coralità nuorese».

Una delle accuse riguarda la vostra preparazione.

«Siamo un gruppo giovane, il repertorio non è ancora vastissimo, ma ci stiamo lavorando con impegno. Studiamo tutti i giorni, il nostro direttore Giampaolo Caldino fa continue ricerche storiche per comporre nuovi brani, già questo è una fonte di studio. Faccio notare che Caldino è anche direttore di Sos Canarjos: mi sembra strano che sia bravo e tra i migliori sulla piazza da una parte, quella del coro maschile, e un principiante con noi».

Perché il vostro ingresso nella festa del Redentore dà così fastidio?

«Perché le donne prima erano relegate a far parte dei gruppi di ballo. Accanto agli uomini ovviamente, perché per esempio l’unico gruppo di ballo in città tutto al femminile, Sas Nugoresas, ci ha messo dieci anni per entrare nella sagra, dopo decine di dinieghi. Non è la prima volta che accade, insomma. Il fatto è che il presidente dei Canarjos ci vorrebbe ancora a lavare i panni nel fiume. L’ambiente del folklore a Nuoro è molto maschilista, ma mi dispiace, i tempi sono cambiati. Viviamo in una città con una tradizione straordinaria in fatto di cori, perché le donne non possono farne parte?».

Dovete studiare, dice il presidente dei Canarjos.

«Ma cosa vuol dire? Non mi risulta ci siano lauree o master in folklore musicale, o che la maggioranza dei componenti dei cori nuoresi abbia alle spalle studi di questo tipo, ammesso che esistano. Il nostro direttore è stato molto chiaro: la tradizione la costruiamo noi, passo dopo passo. Anche i Canarjos sono cambiati rispetto a cinquant’anni fa. Altrimenti possiamo tornare all’età della pietra e dire, sì, ecco la vera tradizione. Mi sembra anacronistico».

Cosa ha trovato di offensivo nella lettera dei Canarjos?

«Tutto. Anzitutto si parla di diatribe di vent’anni fa che non possono riguardarci. Dicono che non studiamo e non abbiamo le fondamenta per fare folklore, ma alcuni brani che cantiamo sono gli stessi che cantano loro. Poi voglio ricordare che la prima persona che ha fatto conoscere nel mondo il canto sardo era una donna, Maria Carta. Le donne hanno sempre cantato le messe, gli uomini si accodavano, ma a intonare i canti in chiesa sono sempre state le donne. Un tempo gli uomini in Barbagia manco c’entravano in chiesa, figuriamoci a cantare. Poi quando sono nati i cori maschili, allora diciamo che si sono impossessati, lo dico fra virgolette, della messa del Redentore».

Cosa vi aspettate ora dai Canarjos?

«Come minimo una lettera di scuse pubbliche. Ma noi andremo avanti lo stesso, stia sicuro».



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