La Nuova Sardegna

Il Pd cerca una via d’uscita verso la tregua di facciata

di Alessandro Pirina
Il Pd cerca una via d’uscita verso la tregua di facciata

Oggi l’assemblea ad Abbasanta: possibile intesa su un direttorio di 6 membri Ma in vista delle regionali è scontro sull’allargamento della coalizione al Pds

11 giugno 2018
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SASSARI. È il giorno della scelta. O forse, vista l’aria che tira, della non scelta. Oggi il Pd si riunisce per l’ennesima volta ad Abbasanta. All’ordine del giorno il futuro del partito dopo la debacle del 4 marzo. Un verdetto che, tra scontri, veti e polemiche, viene rinviato da più di tre mesi. Oggi potrebbe essere la giornata della verità, ma difficilmente lo sarà. Nessuna delle tre correnti sembra intenzionata al passo indietro, ognuna rivendica la propria la posizione e vorrebbe che le altre due la facessero propria. Ma così non sarà. Il segretario Giuseppe Luigi Cucca chiede un successore super partes, l’ex segretario Renato Soru vuole primarie immediate, l’altro ex segretario Silvio Lai punta al divorzio da Roma. Alla fine, molto probabilmente e salvo colpi di scena, l’assemblea opterà per una soluzione unitaria: un direttorio di sei persone, due per ogni corrente, con il compito di traghettare il partito nei prossimi mesi. Una non scelta, insomma. Come quelle che hanno caratterizzato il Pd negli ultimi anni. Anziché discutere su contenuti, strategie, alleanze, ricambio generazionale i vertici del Pd preferiscono siglare una tregua, ma solo di facciata. Anche perché senza una guida vera, un segretario che rappresenti il partito, ogni corrente continuerà a fare riferimento al suo leader. Più fan club che partito, insomma.

Regionali alle porte. Eppure il Pd sardo è atteso da quella che è la sfida più importante. A febbraio l’isola ritorna al voto per scegliere il suo nuovo governo. Un test che nelle ultime due tornate ha avuto effetti dirompenti per i dem. Nel 2009 il ko di Soru portò Veltroni a dimettersi dalla segreteria, 5 anni dopo la vittoria di Pigliaru arrivò proprio nel momento in cui Renzi neosegretario del Pd defenestrava Letta da Palazzo Chigi e suonò come un via libera al cambio di premier. Nel 2019 sarà un Pd molto diverso ad affrontare le regionali. Un partito al minimo storico, appena il 15 per cento preso alle politiche. Un partito che deve archiviare definitivamente non solo la vocazione maggioritaria di veltroniana memoria ma anche l’autosufficienza renziana che ha dimostrato di essere tale solo a parole. Se vuole concorrere con il Movimento 5 stelle, stando ai numeri il vero nemico da battere, ma anche con il centrodestra, che quando si arriva a elezioni ha una capacità di compattarsi nettamente superiore al centrosinistra, il Pd non può non guardarsi intorno. Verso sinistra, verso il centro, ma anche verso il mondo identitario e autonomista.

Incognita coalizione. Un progetto a cui mira la proposta dell’ex senatore Lai, esponente di spicco dell’area Cabras Fadda, che punta a rendere autonomo il Pd sardo da quello romano. Un partito con i suoi iscritti e con una sua indipendenza totale dal Nazareno, ma con la possibilità della doppia militanza. Più o meno come accade in Alto Adige tra i dem e la Sudtiroler Volkspartei. Un partito totalmente sardo alleato di quello nazionale, ma libero di prendere le distanze da Roma sui temi isolani. Lai chiede di sottoporre la questione autonomia a un referendum tra gli iscritti. Ma intanto quella stessa parte del Pd sta già lavorando all’allargamento della coalizione. Un dialogo che coinvolge il Campo progressista a guida Zedda, diversi sindaci di area di centrosinistra, e soprattutto il Partito dei sardi di Paolo Maninchedda, che a sua volta porta avanti un confronto con i Riformatori e il Psd’Az, nel caso, quest’ultimo, non dovesse confermare il tandem con la Lega. Insomma, l’obiettivo è una grosse koalition come risposta alle forze antisistema. Ma non tutto il Pd guarda a questo scenario. Le altre due correnti non sembrano interessate allo schema Lai. Un no con sfumature diverse, però. Renziani ed ex Ds - la strana alleanza che non ha eguali altrove in Italia - non sono d’accordo sulla nascita di un Pd autonomo da Roma, anche perché sono l’unica corrente che i leader di riferimento li ha oltre Tirreno. Ma sulla necessità di allargare la coalizione Cucca e compagni sono sulla stessa lunghezza d’onda di Lai. Su questo però c’è la netta opposizione di Soru, che invece non vuole Maninchedda. Per lui meglio i Rossomori, che però hanno già declinato l’invito. Veti e controveti che rischiano di condannare il Pd a una vocazione minoritaria. Decisa dagli elettori, però.

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