La Nuova Sardegna

Alla ricerca dei soldati caduti durante la Grande guerra

di Enrico Carta
Alla ricerca dei soldati caduti durante la Grande guerra

La missione di Melis: trovare i luoghi in cui sono sepolti gli eroi dell’Oristanese «Vorrei dare ai parenti l’emozione di sapere dove e perché sono morti i loro cari» 

18 giugno 2018
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SANTA GIUSTA. Ci sono passioni che diventano missioni. Alcune seguono strade diritte, altre si addentrano in vie tortuose come quelle della storia vissuta cento anni fa. Quella storia che oggi sembra un ricordo lontano, racconta una delle più immani tragedie dell’umanità. I contemporanei la chiamarono la Grande guerra, ma dopo che esplose la seconda divenne per quasi tutti la Prima guerra mondiale. Vi parteciparono 74 milioni di soldati, si contarono 10 milioni di morti – stima ufficiosa che ormai gli storici rivedono al rialzo –, i mutilati e i feriti furono 21 milioni.

È una storia complicata, nata con due colpi di pistola a Sarajevo che si trascinarono una serie di decisioni politiche e di conseguenze che, nel 1914, quasi nessuno prevedeva tali. Finì nel 1918 col più grande bagno di sangue che l’umanità avesse fino ad allora conosciuto. E oggi cos’hanno a che fare piccoli paesi della Sardegna con quei morti. È seguendo le vie della ricerca storica, tortuose e ostiche come quelle delle trincee, che Tino Melis ricostruisce un mondo altrimenti perso o fatto solo di nomi insignificanti. Dimenticati anche loro dalla memoria collettiva che stenta a riconoscere la brutalità di qualsiasi guerra.

Ex sindaco di Santa Giusta dal 1990 al 2015, laurea in Scienze politiche, oggi Tino Melis è una persona avvolta dalla sua passione diventata missione. «Vado in cerca dei luoghi e delle tombe in cui sono sepolti i soldati degli 88 Comuni della provincia di Oristano, quei soldati che morirono al fronte, negli ospedali della Grande Guerra o nei campi di prigionia». Come e perché una passione si impossessi del cuore di un uomo è una domanda che non ha risposte se non quella aristotelica che è la meraviglia a far da motore alla conoscenza. Ma come in tutte le storie anche questa ha un inizio ed è ovviamente ben più recente di quello in cui scoppiò la Grande Guerra. «Ero sindaco del mio paese e ogni anno, durante la cerimonia del 4 novembre, leggevo i nomi dei compaesani caduti in guerra davanti al monumento a loro dedicato. A ogni nome, come se fosse lì ancora con noi, si rispondeva in coro: presente. È stato allora che mi sono chiesto: ma chi erano queste persone, dove sono morte e dove sono sepolte?»

Per qualcuna di loro la risposta era già nei registri e nei vari archivi civili e militari. Ma i nomi di altri non figuravano. «È stato in quel momento che ho deciso di frugare tra i documenti spinto dal semplice desiderio di conoscere. Era il 2010 e ho iniziato l’indagine partendo dai miei concittadini caduti. Mentre frugavo tra i documenti o leggevo i nomi sulle tombe ne incontravo tantissimi di soldati sardi e allora ho esteso la mia ricerca a tutti i Comuni della provincia».

Ma come associare a quelli di cui nulla si sapeva, se non il giorno della morte, dove e come avessero chiuso gli occhi per sempre? «A Oristano c’è l’albo d’oro coi nomi dei 650mila caduti italiani in guerra. Segnavo tutto su un registro e sono arrivato a individuare i 2.300 che erano partiti verso il fronte dai paesi della nostra provincia e che mai sono tornati. Di trecento di questi si racconta nel libro di Giulianno Chirra “Mortos in terra anzena”, io mi sono messo alla caccia delle storie degli altri duemila. Li cerco uno per uno nei sacrari, negli elenchi degli ospedali da campo o in quelli delle città in cui venivano poi ricoverati, li cerco persino all’estero perché molti di questi perirono in prigionia».

Non è semplice incrociare i dati, vista anche le scarne e non sempre precise indicazioni dei documenti ufficiali. Nel più famoso dei sacrari italiani, quello di Redipuglia, solo 40mila dei 100mila soldati ivi sepolti sono noti. Il resto è fatto di tombe con un nome, spesso sbagliato, a cui nessuno sinora ha attribuito una storia. E peraltro dei 650mila o forse 720mila soldati dell’esercito italiano caduti nella Grande guerra solo 400mila hanno avuto sepoltura. A tutti gli altri la morte ha regalato anche il destino di sparire nel nulla.

Restano i registri e i nomi sulle tombe. Tutto è lì, ma non tutto è chiaro. «Gli atti ufficiali – prosegue Tino Melis – venivano compilati da scrivani veneti o friulani e così sono pieni di cognomi sbagliati. Ad esempio il soldato Turnu era diventato Turini o il soldato Olla venne trasformato in Alla o ancora il cognome Mangroni divenne Manganini. Ma sono proprio questi casi strani che rendono più appassionante la ricerca. Altri poi sono particolari come quello del soldato di Pau, Agostino Licheri: c’è l’atto di morte in guerra, ma lui visse sino al 1981». E ancora storie di poveri cristi partiti da qui e diretti verso la fine come Antonio Mura di Santu Lussurgiu morto sul Carso il 27 luglio del 1915 in una delle prime battaglie dell’esercito italiano. Dovrebbe essere in uno dei sacrari della zona, invece è ad Asiago. Come la sua salma sia finita laggiù resterà per sempre un mistero. Inspiegabile come le ragioni che portarono alla carneficina durata dal 1914 al 1918. Più comprensibile è invece la soddisfazione che prova Tino Melis alle sue conferenze: «Le famiglie parlavano spesso dei loro vecchi parenti morti in guerra, ma probabilmente nemmeno sapevano dov’erano sepolti e mai nessuno era stato a visitare la loro tomba. Vedo la gioia nei volti di chi adesso ha per la prima volta notizie e vede la foto della tomba del proprio caro». Storie lontane, nel tempo e nello spazio. Cammini tortuosi che portano anche a migliaia di chilometri dal fronte della prima guerra mondiale. Le ricerche hanno riguardato anche la Guerra di Spagna (1938) e la seconda guerra mondiale con la bussola che indicava le città di Kameskovo e di Krinovoje. Profonda Russia, luoghi di un’altra tragedia ancora più grande.

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