La Nuova Sardegna

Elvio, l’uomo della lavanda: «Riola come la Provenza»

di Roberto Petretto
Elvio, l’uomo della lavanda: «Riola come la Provenza»

Sulas, pensionato 70enne, ha deciso di coltivare nell’isola la pianta profumata. «All’inizio mi prendevano in giro, ma lo faccio da 14 anni. Ho tantissime richieste»

02 luglio 2018
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RIOLA SARDO. Molti sono convinti che gli animali finiscano per assomigliarsi agli umani a cui si affezionano e con cui condividono un tratto del proprio cammino. E viceversa. Si dice che ciò avvenga con cani e gatti, ma forse ci sono sintonie che riguardano anche altri sudditi del regno. Le api, ad esempio, assomigliano tremendamente a Elvio Sulas. O viceversa. Stanno lì per ore e giorni a raccogliere frammenti di polline, volando freneticamente da un fiore all’altro e da lì sino all’alveare. E ancora una volta e poi di nuovo. Elvio Sulas durante la propria vita ha sempre fatto questo: ha raccolto pezzi di conoscenza, di sapere, li ha custoditi e ha costruito quello che è adesso. Nelle campagne tra Riola Sardo, il mare e gli stagni del Sinis, questo quasi settantenne dal volto perennemente abbronzato, dagli occhi brillanti e vispi e dalla favella sciolta, vive gran parte della sua vita. Elvio è conosciuto da tutti: chi lo incontra per strada lo saluta con affetto, chi passa davanti alla sua azienda si ferma un attimo almeno per scambiare due parole. Licenza media chiusa in qualche cassetto e cultura multiforme e enciclopedica, che spazia libera dall’agricoltura all’archeologia, non certificata da nessun pezzo di carta. Elvio da una quindicina d’anni è per molti (a Riola, a Oristano, in Sardegna e anche oltre) “l’uomo della lavanda”. È colui che ha portato in queste pianure un angolo di Provenza, con i suoi colori e i suoi profumi. «All’inizio mi prendevano in giro», racconta con il sorriso di chi non si prende troppo sul serio, ma è convinto di ciò che fa.

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La curiosità che spinge ad andarlo a trovare è proprio per questa idea bizzarra di coltivare la lavanda nel Sinis, ma dopo averci scambiato quattro chiacchiere si capisce che la lavanda è solo un pezzo della storia. E forse neppure il più importante. Dal 4 al 6 luglio in questo campo viola che spicca tra il verde delle vigne e il marrone della terra, ci sarà la raccolta della lavanda. «Ho già tantissime prenotazioni di persone che vogliono partecipare al taglio – dice Elvio –. L’articolo sul giornale ne richiamerà ancora di più e io non vorrei scontentare nessuno». Perché se prima l’idea del campo di lavanda suscitava persino ironie, ora è diventata un gioiello che tanti vogliono ammirare. «Ho quasi 70 anni e coltivo la lavanda da 14 – racconta Elvio –. Perché lo faccio? Ho sempre vissuto tra i campi. Mio padre era agricoltore e l’ho sempre seguito, sin da piccolo. A quei tempi di faceva la raccolta delle olive con le reti e la bacchiatura a mano, con le canne. E poi avevamo vigne e campi di grano». A cavallo tra gli anni ’60 e ’70, mentre nel mondo la scossa della contestazione agitava le piazze, qui in Sardegna le piogge mettevano in ginocchio l’agricoltura: «Tre annate eccezionalmente piovose – racconta Elvio – e le cose cominciarono a non andare bene. Trovai un impiego alla Sip. Sono andato in pensione presto. E sono tornato ai campi».

La lavanda dunque: tutto nasce nel 1977. «Conobbi Renzo Stucchi, amministratore della Cacharel. Insieme andammo in Provenza. Renzo mi disse: “Elvio, quando andiamo in pensione, mettiamo su un campo di lavanda”. Lui l’ha fatto prima di me, a Tuscania, con due case sull’albero. Io sono arrivato molto dopo».

Tra Riola e il mare, questa pianta spettacolare ha trovato un habitat ideale: «Questo clima è casa sua», dice Elvio guardando ammirato i filari di lavanda, mentre il continuo ronzio delle api ricorda che l’industria della natura non si ferma mai. Le api stipano il nettare in una decina di arnie poste ai bordi del campo, i grappoli di fiori robusti e panciuti, attendono di essere raccolti. Manca poco ormai: «Porteremo il raccolto all’Agrisilla di Angelo Beccu, a Silanus, dove sarà distillato in giornata. È questo il segreto per produrre un olio essenziale di altissima qualità». Ma coltivare lavanda e produrre olio essenziale, cos’è? Un passatempo, una scommessa, un affare? «Un po’ tutte queste cose», dice Elvio.

Sul sito web “La lavanda di Elvio” ci sono i prodotti che si possono acquistare, oltre alle informazioni sull’attività dell’azienda. Prodotto biologico al 100 per cento, la lavanda non ha nemmeno bisogno di un trattamento contro le erbe infestanti: quando cresce non lascia spazio a altro. Elvio racconta la sua esperienza sotto un gazebo naturale, una grotta fresca le cui pareti sono rami e fronde di un albero basso, dove trova riparo un grande tavolo in pietra. Poco più in là una vasca in arenaria: un reperto archeologico dove finisce l’acqua di un pozzo scoperto 25 anni fa grazie a un rabdomante allora ultranovantenne. Perché Elvio è così: un po’ ribelle alle convenzioni e alla scienza ufficiale. Come quando racconta di un’altra sua grande passione, l’archeologia. E ricorda di aver ipotizzato un porto a Mistras e non a Tharros, quando tutti gli specialisti scartavano questa ipotesi mentre oggi viene riconosciuta quasi unanimemente come probabile: «Lo dico da 25 anni».

In una casa bassa nelle viuzze di Riola, Elvio ha poi ricavato un piccolo museo della tecnologia contadina: una raccolta di pezzi originali, di ricostruzioni di attrezzi, oggetti, macchinari. E di sculture: perché questo agricoltore-archeologo è anche scultore. «Io faccio, non bado alle critiche – dice ancora Elvio –. Sono curioso, pongo domande e sono molto comunicativo. Oggi si dice “condividere”. Io dico che la cultura si fa con gli scambi». Raccogliendo informazioni, pareri, punti di vista, per costruire poi un bagaglio proprio. Un personale “alveare della conoscenza”. Con le cellette piene di informazioni, notizie, nozioni. Come fanno le api col nettare dei fiori.
 

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