La Nuova Sardegna

LA DERIVA ROMANA APPRODA AD ABBASANTA

di LUCA ROJCH

Spintoni, «buffoni», e altre profonde considerazioni sull’etica politica e filosofica. Urla e facce paonazze, la sensazione di trovarsi in curva e non in una assemblea democratica. Serviva un atto di...

10 luglio 2018
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Spintoni, «buffoni», e altre profonde considerazioni sull’etica politica e filosofica. Urla e facce paonazze, la sensazione di trovarsi in curva e non in una assemblea democratica. Serviva un atto di coraggio, di forza, per cambiare il partito. Ma qualcuno deve avere capito male, gli odi hanno prevalso sulle idee. Il gruppo dirigente del Pd sa che la facilità non genera felicità e decide di complicarsi la vita e continuare la discesa agli inferi. Lo fa con un’altra figuraccia mediatica.

Serviva un nuovo segretario. Una faccia nuova, un abile auriga che come nel mito della biga alata di Platone sapesse condurre i due cavalli che trascinano il carro. Uno in alto verso il mondo delle Idee e l’altro in basso verso il mondo sensibile. Il Pd è qualcosa di simile. Sì, ma senza mito. Perché tutti e due i cavalli spingono la biga verso l’inferno.

Dopo la disfatta del 4 marzo alle Politiche tutti invocavano la rivoluzione, ma ci si limita al tentativo di occupazione. Il Pd non ha una rotta, è guidato da un istinto suicida, è un Titanic che con tenacia punta contro l’iceberg. Difficile capire come i Dem possano pensare di affrontare la traversata transoceanica delle Regionali con una bagneruola sgangherata. Con i suoi pochi occupanti impegnati a bucare il fondo della barca che li trasporta. Senza idee, senza un progetto, senza unità. Senza un reale catartico rinnovamento i Dem sembrano destinati a diventare un partito marginale, da 10 per cento. Ci doveva essere un momento di analisi, di dolore, di autoflagellazione intellettuale per poter rinascere. Una reale presa di coscienza della sconfitta e una banale constatazione di non essere più collegati col mondo. Di avere pensato in questi anni più ai colletti bianchi che alle tute blu. Si è preferita la via cosmetica, una versione imbellettata della realtà. Un po’ di cipria per nascondere le rughe. Ci si è affidati all’ars imbonitoria degli slogan precotti. Quelli che funzionano nella pubblicità, ma non convincono nessuno. I dati spiegano più di qualsiasi discorso il fallimento del partito. Nelle politiche del 2008 il Pd aveva preso in Sardegna 354 mila voti. In quelle del 2013 è scivolato a 233mila, meno 44 per cento. E nel 2018 è crollato a 128mila.

Roma non aiuta. Il cerchio magico è diventato un circo tragico. Anzi una certa visione, e divisione, del mondo tra correnti arriva da là. Quasi una forma mentale, uno stato naturale di un partito mai nato. La mancata fusione tra le diverse anime, che si sono trasformate in correnti. La deriva romana precede e sovrasta quella sarda.

Il Pd sardo rischia di finire commissariato per l’incapacità di darsi una guida. Il mutamento profondo non c’è stato. E le Regionali del febbraio 2019 potrebbe trasformarsi nella celebrazione della scomparsa del Partito democratico. Il pianeta Pd sembra sempre più autoimploso, incapace di vivere di luce propria e oscurato dallo scintillio di 5 Stelle.

@LucaRojch. @RIPRODUZIONE RISERVATA



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