La Nuova Sardegna

A Orune torna la paura, i Chessa non si sentivano nel mirino

di Valeria Gianoglio
A Orune torna la paura, i Chessa non si sentivano nel mirino

L’agguato e i conti col passato: padre e figlio salvi solo per la rapidità nella fuga

17 luglio 2018
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ORUNE. Avevano abbassato la guardia, o forse coltivavano la speranza che la catena di odio fosse finita e che la vita potesse tornare alla normalità. Nessun particolare accorgimento di sicurezza, nel percorrere la strada di penetrazione agraria che li conduce al terreno di famiglia, nelle campagne tra Orune e Nule. Nessun mezzo di difesa portato con loro o qualche altra forma di protezione. Giampietro Chessa e il figlio Ignazio, anche sabato mattina, sono usciti di casa come sempre hanno fatto soprattutto negli ultimi tempi: come due allevatori qualunque, carichi di fatica e strumenti di lavoro. Ma niente di più. Sono andati incontro al loro aspirante killer con il fucile sotto braccio ignari del pericolo, e dimenticando, forse per qualche istante, il loro cognome e la storia tragica che si trascina da più di cinquant’anni.

Gli investigatori ne sono convinti: i due allevatori avevano abbassato la guardia, almeno nell’andare in campagna. Pensavano, forse, che dopo undici anni, e dopo aver pianto due giovani innocenti morti ammazzati – Nicola e Serafino uccisi il 4 febbraio del 2007 nelle stesse campagne dove è avvenuto il duplice tentato omicidio di sabato – la loro famiglia avesse già pagato l’assurdo tributo di sangue che la faida ogni tanto richiede. O forse, pensavano che condurre una vita semplice, tutto sommato ritirata, e decisamente tranquilla, li avesse messi al riparo dal pesante fardello della vendetta.

A Orune, dopo il duplice omicidio di Nicola e Serafino, le strade degli altri fratelli Chessa, in parte, si erano divise, come spesso capita quando si cresce, si va a studiare fuori, si tentano strade professionali diverse. Le tre sorelle Chessa, tutte ragazze studiose e stimate, vivono e lavorano fuori da Orune. Una di loro convolerà a nozze tra qualche mese e in famiglia sono già nel pieno dei preparativi. Anche per questo, il duplice tentato omicidio di sabato mattina è arrivato in un periodo di festa, come vuole la triste tradizione della faida: oltre alla festa di Su Carmineddu, a Orune, i Chessa sono alle prese con l’organizzazione di un matrimonio. E se le tre sorelle percorrono le loro vite fuori da Orune, l’unico rimasto in paese, dopo una parentesi di studio a Pisa, è proprio Ignazio. Unico figlio maschio rimasto a papà Giampietro e a mamma Biella. Tranquillo come pochi, senza grilli per la testa, lavoratore onesto e discreto: in paese lo descrivono così, Ignazio Chessa. Proprio come tranquilli, dall’animo mite e dal cuore buono, erano i suoi due fratelli minori ammazzati nel 2007, Nicola e Serafino. Ignazio Chessa è tornato a vivere a Orune soltanto da un paio di anni, dunque, dopo un periodo di studio e lavoro trascorso in Toscana, a Pisa.

E chissà, forse nella sua decisione di rientrare, può aver pesato anche il senso di responsabilità che i figli, quando crescono, spesso hanno nei confronti dei genitori diventati anziani. Perché è un bravo ragazzo, Ignazio Chessa, e a chiunque si chieda, in paese, lo conferma senza il minimo tentennamento. Anche per questo suo essere totalmente estraneo alle logiche dell’odio, e tantomeno della vendetta, probabilmente non usava particolari precauzioni di sicurezza ma ha sempre svolto una vita tranquilla, tra casa, amici e campagna. Sempre pronto a dare una mano a papà Giampietro, nei terreni di famiglia, e a mamma Biella, in casa.

Una tranquillità d’animo che tuttavia non gli ha impedito, sabato mattina, di reagire con prontezza alla raffica di colpi che gli arrivavano addosso, mentre guidava il pick-up con il padre al suo fianco. Quella mattina, poco prima delle 8, ha avuto la prontezza di riflessi di non fermarsi, di premere il piede sull’acceleratore e di far proseguire, a razzo, la corsa del pick-up in un tratto di strada in discesa. Una reazione che è stata determinante per consentirgli di tornare a casa illeso, insieme al papà Giampietro. Nonostante la raffica di pallettoni che continuava a rimbalzare sul mezzo in corsa.

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