La Nuova Sardegna

Dori Ghezzi: «Io, Fabrizio, la Sardegna un amore senza fine»

di Alessandro Pirina
Dori Ghezzi e Fabrizio De André
Dori Ghezzi e Fabrizio De André

La moglie di De André racconta il suo legame con l’isola e gli anni all’Agnata: lasciare Milano per Tempio non è stato facile ma poi è diventata casa mia

27 luglio 2018
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SASSARI. Una scelta d’amore. Una scelta che non ha avuto ripensamenti neanche di fronte a quei lunghi 4 mesi passati all’hotel Supramonte. Una scelta che è rimasta tale anche dopo l’11 gennaio di 19 anni fa, quando Fabrizio se n’è andato per sempre. Oggi Dori Ghezzi vive meno la sua Sardegna, gli impegni della Fondazione la tengono lontana, ma il legame con l’isola non si è mai interrotto. E non potrebbe essere altrimenti. La Gallura è stata il teatro del grande amore con De André, a Tempio è nata la figlia Luvi e sempre a Tempio Dori e Fabrizio si sono sposati. E la Sardegna è un elemento costante anche nel libro che Dori Ghezzi ha scritto a sei mani con Giordano Meacci e Francesca Serafini, «Lui, io, noi», edito da Einaudi Stile libero.

Un insieme di aneddoti sugli incontri della vita, sulle trame, sui nessi che hanno caratterizzato la loro storia e che in qualche modo ancora oggi la influenzano. «È proprio dalle chiacchierate tra amici che è nato questo libro – spiega Dori Ghezzi –. Mi sono trovata più volte a raccontare aneddoti a Giordano e Francesca, che avevano conosciuto Fabrizio per intrecci strani. Parole dette liberamente, come si fa tra amici. Sono stati loro a propormi di scrivere il libro. L’unica mia titubanza era quella di fare una biografia classica, non mi interessava. Ho preferito un altro taglio, dando importanza agli incontri della vita. Appunto io, lui e noi».

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Gli intrecci. Un “noi” onnicomprensivo. Meacci e Serafini, ma anche tutte le persone che in un modo o nell’altro si sono imbattute in Fabrizio e Dori. «Noi siamo tutti quelli che incontriamo di volta in volta. Tutti protagonisti inconsapevoli come il tassista che mi chiede di De André all’inizio del libro. Anche Fabrizio si era reso conto quanto fosse importante fare i tour, incontrare le persone e soprattutto ascoltarle. Era da lì che lui prendeva la linfa per i suoi testi». Ma in quel “noi” c’è anche l’immenso pubblico di De Andrè, con cui Dori ha sempre voluto condividere la sua infinita eredità artistica. A differenza della scelta della moglie di Lucio Battisti, che invece ha impedito qualsiasi utilizzo commerciale dell’immagine del marito. «Fabrizio non era solo mio – dice Dori Ghezzi –. Era un personaggio pubblico talmente amato che arrogarsi un senso di appartenenza così stretto lo trovo sbagliato. Ognuno fa quello che vuole, ci mancherebbe, e io lo rispetto. Non ho nulla da rimproverare a Grazia Letizia Veronese. Anzi, vista la tendenza a saccheggiare, forse talvolta ha fatto bene lei. Ma quello è un altro discorso».

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L’isola di Dori. La decisione di vivere in Sardegna viene presa nella metà degli anni Settanta. La coppia resta stregata da un vecchio stazzo a pochi chilometri da Tempio, dove Dori - sempre per quella magia di intrecci di cui si narra nel libro - aveva tenuto un concerto pochi anni prima di incontrare Fabrizio. «Era una festa di Carnevale all’hotel Esit, da Giordo. Erano gli anni del “Casatchok”. Non ero mai stata a Tempio e rimasi colpita dalla neve. Ai tempi non immaginavo che in Sardegna ne potesse cadere così tanta». Eppure qualche anno dopo Tempio sarebbe diventata la città sua, di Fabrizio e di Luvi, nata il 30 novembre 1977 proprio all’ospedale Paolo Dettori. «La scelta di trasferirci in Sardegna nasceva dall’esigenza di Fabrizio di ricongiungersi con la campagna. Una cosa che si era ripromesso da quando era bambino. Pur amando il mare, durante la guerra aveva trascorso i primi anni della sua infanzia in campagna in Piemonte e sentiva la forte necessità di tornarci. E non era facile trovare una compagna a cui piacesse quello stesso stile di vita». Lui però l’aveva trovata. Anche se per Dori, che ai tempi era protagonista sui palcoscenici musicali più importanti d’Italia, dal Cantagiro a Canzonissima, il passaggio da Milano a Tempio, dagli studi di registrazione della Durium alla stalla delle vacche, non deve essere stato facile. «Quando fai una cosa insieme alla persona a cui vuoi bene sei pronto ad affrontare tutto, e per me era così. Certo – racconta – non è stato facile, ma insieme abbiamo superato tante peripezie. Ricordo ancora le prime notti all’Agnata senza telefono, senza luce elettrica e solo con le candele. Ma quando si è innamorati si fa questo e altro».

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Sardi d’adozione. Da quel momento Fabrizio e Dori diventano in qualche modo sardi. Sono gli stessi sardi a considerarli tali. Un senso di appartenenza ricambiato. «Fabrizio la Sardegna la conosceva da prima di me. Io ho imparato a conoscerla e ad amarla insieme a lui. Un amore dettato dagli stessi motivi perché avevamo lo stesso modo di vivere la vita. Ed è anche per quello che ci siamo incontrati. E ancora oggi io sento questa forte appartenenza. Fabrizio parlava il gallurese, io lo capisco ma non oso parlarlo: butto giù solo qualche parola. E poi abbiamo sempre l’Agnata che con fatica e a denti stretti cerchiamo di portare avanti, più per amore che per altro. Senza contare che mia figlia è nata a Tempio, qui ci siamo sposati, anche se era un matrimonio talmente informale che ci siamo dimenticati di prendere le fedi. Non le abbiamo mai messe e nulla è cambiato. E a Tempio ho tanti amici che vedo meno ma restano sempre molto importanti».

Il sequestro. L’amore con l’isola non è stato scalfito nemmeno da quei quattro mesi passati nelle mani dei banditi. Un incubo iniziato il 27 agosto 1979 e terminato il 21 dicembre per Dori, e il giorno dopo per Fabrizio. Quasi 120 giorni di prigionia che vengono liquidati come «un incidente che non può e non deve avere un peso maggiore». Tanto che De André e Ghezzi restano a vivere in Gallura, nella stessa tenuta in cui erano stati prelevati dai rapitori. Un’altra scelta d’amore che rafforza il legame con la Sardegna e i sardi. «Sarebbe potuto succedere anche a Milano – dice Dori –. Sicuramente noi non ce lo aspettavamo. Oggi grazie a Dio le cose sono cambiate. E chissà che anche il nostro atteggiamento non abbia fatto da deterrente ai sequestri di persona».

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L’Agnata. Il vecchio stazzo è stato trasformato dai De André in un luogo magico immerso nel verde. Meta dei tanti amici artisti della coppia, ma anche una sorta di mecca per i fan di Fabrizio, che sapevano che lui li avrebbe accolti con un bicchiere di vino e un pezzo di formaggio. Come Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, che a 18 anni trascorse un’intera giornata con il suo mito e ancora oggi - è anche membro della Fondazione De Andrè - almeno una volta all’anno fa tappa all’Agnata con la moglie Cristina Parodi. «Sempre una questione di intrecci», sottolinea Dori. Che ricorda anche i tanti amici artisti che all’Agnata erano di casa. Da Fossati a De Gregori, da Bubola a Pagani. «Ornella (Vanoni, ndr) ogni volta che veniva a trovarci non voleva più ripartire». E all’interno del Time in jazz in questi anni tanti artisti sono stati protagonisti di concerti dedicati a De André. Da Morgan alla stessa Vanoni, dagli Stadio a Teresa De Sio. «Ritorniamo l’anno prossimo con una grande iniziativa, ne abbiamo già parlato con Paolo Fresu».

Piazza Faber. In questi anni sono stati tanti gli omaggi a De André. Tempio ha deciso di dedicargli anche una piazza, appunto piazza Faber, firmata dall’archistar Renzo Piano, grande amico di Fabrizio. Un monumento che però non è tutelato come dovrebbe. «Io non essendo lì non mi rendo conto – aggiunge Dori Ghezzi –. Quel che è certo è che un’opera del genere in tanti ce la invidiano. Ancora prima che nascesse arrivavano a Tempio turisti stranieri e chiedevano della piazza De André. Avere un’opera di Renzo Piano non è da tutti e Tempio ne deve essere consapevole».

La memoria. Concerti, libri, piazze, scuole, incontri. Fino alla fiction “Il principe libero” con Luca Marinelli nel ruolo di Faber. «Valentina Bellè è stata bravissima ma io non riuscivo a giudicare il mio ruolo», dice Dori. La memoria di De André, insomma, è più viva che mai. «All’inizio soprattutto non è stato facile – conclude Dori –. Ecco perché contano tanto le altre persone. Gente che magari non conosci e incontri giorno dopo giorno. Tutti vogliono parlarmi di Fabrizio, e talvolta mi trovo io a consolare gli altri. Ecco, tutto questo mi ha messo nella condizione di rivivere in modo diverso la presenza di Fabrizio».

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