La Nuova Sardegna

Meduse, l'incubo dell'estate e in arrivo ci sono altre specie

di Claudio Zoccheddu
Un'immagine scattata nel mare di Lotzorai
Un'immagine scattata nel mare di Lotzorai

Aumentano gli avvistamenti anche nell'isola. Nel Mediterraneo gli esemplari più velenosi 

07 agosto 2018
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SASSARI. Sono le compagne di nuotata che nessuno vorrebbe. Eppure, non se ne può fare a meno. Le meduse non sono solo le antipatiche e pericolose creature marine in grado di ustionare i bagnanti con un fugace contatto ma sono soprattutto un anello della catena alimentare sottomarina. La loro presenza in massa lungo le coste, segnalata negli ultimi anni anche nei pressi delle spiagge dell’isola, è legata anche all’assenza di predatori che spesso sono vittime dell’overfishing, la pesca indiscriminata che mette a rischio la biodiversità marina. C’è poi la questione dei cambiamenti climatici che conduce, in questo caso, al surriscaldamento delle acque. Ed è anche questo un fattore che ha favorito la diffusione delle meduse nel Mediterraneo, comprese quelle che fino a poco tempo fa erano considerate un’esclusiva degli oceani. D’altra parte, nello Stretto di Gibilterra non esiste un alcun tipo di selezione all’ingresso. Lo dimostra la presenza di specie “aliene” come lo squalo bianco, un esemplare è stato avvistato poche settimane al largo delle isole Baleari. E se i grandi predatori possono accedere solo attraverso le vie più classiche, gli animali di dimensioni ridotte possono arrivare anche sfruttando taxi improvvisati come le grandi navi e i loro serbatoi.

Le specie. Per il momento non esiste uno stato di allerta dettato dalla presenza delle meduse ma, comunque, non è il caso di scherzare con questo tipo di animali: «Difficile fare un censimento delle meduse nel Mediterraneo, e dunque nei mari che bagnano la Sardegna – spiega Renata Manconi, zoologa dell’università di Sassari – diciamo che la più diffusa potrebbe essere la Pelagia noctiluca ma ci sono stati avvistamenti anche della caravella portoghese vicino alle coste spagnole». L’avvistamento non coincide con il contatto, ovviamente: «Quando si parla di contatti con le meduse si tratta di eventi casuali. Alcuni esemplari hanno tentacoli molto lunghi e quando si nuota può capitare di sfiorarli. Sono il prolungamento del corpo delle meduse ma sono anche “armi” di difesa e offesa dense di cisti che vengono depositate sul corpo con cui entrano in contatto – spiega ancora l’esperta –. I tentacoli, infatti, hanno piccole cisti che contengono un liquido urticante, se sfiorate si aprono e liberano una sorta di microscovolino spinoso che graffia e bagna la ferita appena provocata con il liquido urticante». L’elenco delle meduse più pericolose, oltre alla Pelagia noctiluca, c’è la medusa scatola o medusa cubo (Carybdea marsupialis), la nomade (Rhopilema nomadica),la Cassiopea andromeda, la medusa gigante (Drymonema dalmatinum), la medusa quadrifolgio (Aurelia aurita) e la medusa bruna (Chrysaora hysoscella).

I rischi. Anche valutare il pericolo che si corre entrando in contatto con uno di questi tentacoli non è semplice perché vincolato a una lunga serie di variabili: «Per prima cosa non tutte le meduse, anche quelle della stessa specie, hanno la stessa “carica” tossica – spiega ancora Renata Manconi –. Dipende dallo stato di salute dell’animale. Vale lo stesso principio anche per chi entra in contatto con le meduse. I soggetti più a rischio sono i bambini, gli anziani, le persone immunodepresse e gli allergici. Ma anche in questo caso sono necessarie distinzioni legate al punto del corpo umano che entra in contatto con i tentacoli della medusa, perché uno sfregamento all’altezza del cuore è molto più pericoloso di uno sull’avambraccio». In ogni caso, dopo il contatto non si dovrebbero commettere errori per limitare l’ustione e lenire il dolore. Invece, tra le regole più seguite da chi cerca una medicazione rapida e a chilometro zero molti finiscono per alimentare le leggende che gravitano intorno alle ustioni provocate dalle meduse.

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