La Nuova Sardegna

Un grande squalo elefante avvistato a Porto Ottiolu

di Claudio Zoccheddu
Un grande squalo elefante avvistato a Porto Ottiolu

Un diportista ha filmato dalla barca l’incontro ravvicinato con il gigante del mare L’esperto del Cnr: «Non è pericoloso per l’uomo ed è a rischio di estinzione»

18 agosto 2018
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SASSARI. Sicuramente non ha creduto ai suoi occhi quando ha visto, a pochi centimetri dalla sua barca, un grande esemplare di squalo elefante che nuotava a qualche centinaio di metri dalla costa di Porto Ottiolu, nel comune di Budoni. Renzo Balia, di Mamoiada, non è rimasto con le mani in mano, ha afferrato lo smartphone e ha iniziato a registrare un video – pubblicato sul sito internet della Nuova Sardegna – in cui si vede come il gigantesco animale sfiori letteralmente la barca per poi allontanarsi, dopo una rapida indecisione, verso il mare aperto. Non è la prima volta che uno squalo elefante viene avvistato nei pressi delle coste sarde. Era capitato a Posada nel 2012, e a Porto Torres e Tavolara l’anno dopo. Non è un habituè, ma nemmeno un alieno. E la sua presenza non crea alcun pericolo: nonostante le dimensioni di questo pesce possano mettere in soggezione, si tratta di un animale assolutamente innocuo. Lo squalo elefante si nutre di plancton, non è aggressivo e non esistono episodi di attacchi deliberati ai subacquei. Tuttavia, considerando le dimensioni, mediamente circa 10 metri, e l’abrasività della sua pelle, è comunque consigliabile restare a distanza di sicurezza.

Predatori e prede. Probabilmente Steven Spielberg, regista di Jaws (Lo Squalo, in Italia), potrebbe non essere d’accordo ma i ruoli che l’uomo e lo squalo occupano nella realtà non sono quelli a cui ci ha abituato il cinema. Lontano dal grande schermo l’unico predatore insaziabile è l’uomo e gli squali, di ogni tipo e dimensione, ne pagano le conseguenze: «Non stiamo parlando di pesci comuni – spiega Andrea De Lucia, ricercatore del Cnr di Oristano –, gli squali sono pesci cartilaginei che hanno la caratteristica di deporre poche uova, un fatto che li rende particolarmente vulnerabili come specie. Se poi si aggiunge che lo squalo elefante si nutre di plancton, che recupera filtrando l’acqua, è facile immaginare quale possa essere l’impatto nella loro vita delle microplastiche diffuse nel mare». Questa caratteristica, infatti, li ha trasformati in una sorta di sentinelle dell’inquinamento marino finite al centro dei progetti di monitoraggio ambientale. Il gigante del mare, tra i pesci è secondo come dimensioni solo allo squalo balena, è però un animale fragile che deve essere tutelato.

Le altre specie. L’unico che ancora non ha timbrato il cartellino nel Mediterraneo è proprio il parente più stretto dello squalo elefante, perlomeno come abitudini e dimensioni. Nel mare nostrum, in sostanza, manca solo lo squalo balena a completare la delegazione dei “pescecani”. Per il resto ci sono tutti, dal temibile squalo bianco all’agguerritissimo squalo martello. Il report degli attacchi all’uomo, però, è talmente scarno che, secondo le statistiche è più probabile essere colpiti da un fulmine piuttosto che attirare le attenzioni fameliche di uno squalo, soprattutto nel Mediterraneo. Questo non significa che lo squalo bianco possa essere un buon compagno di nuotata, anzi. Proprio un esemplare di squalo bianco è stato avvistato nelle acque delle Baleari il 30 giugno scorso: «Nel Mediterraneo ci sono molte specie di squali, tra cui proprio il bianco ma anche lo squalo grigio, il mako, lo squalo martello e le verdesche, che probabilmente sono le più diffuse – conferma Andrea De Lucia – ma non c’è da aver paura perché la popolazione degli squali è pesantemente limitata dalla mano dell’uomo. L’allarme, infatti, dovrebbe riguardare la tutela di una specie che svolge un ruolo importante nel mare. Gli squali sono al vertice della catena alimentare che verrebbe spezzata dalla loro assenza creando problemi molto più gravi di quelli generati dalla loro presenza». A mettere a rischio la sopravvivenza degli squali è soprattutto la pesca intensiva: «Diciamo che la Sardegna è circondata da un sistema di reti da pesca che spesso raccolgono anche quello che non dovrebbero e capita che gli squali finiscano impigliati proprio nelle reti, anche in quelle a strascico – aggiunge De Lucia –. Ci sono poi pratiche volontarie che sembrano arrivare dal Medioevo. Ad esempio, in Cina la pinna dello squalo è considerata un potente afrodisiaco, al punto da generare una domanda che viene soddisfatta da una pratica barbara perché molti squali vengono pescati, gli viene asportata la pinna dorsale e poi vengono rigettati in acqua. Ovviamente muoiono poco dopo e si può sicuramente dire che si tratta di un sacrificio inutile». Ma la pesca non è foraggiata solo dalle leggende: «Ci sono specie come il gattuccio, o il palombo, che vengono pescati per scopi alimentari. Al punto che ormai abbiamo quasi la certezza che una parte di quello che viene venduto come tonno in scatola sia in realtà carne di altri animali, perlopiù squali e delfini – conclude De Lucia. Il più temibile killer a piede libero nei sette mari, dunque, non ha le pinne, non gode della fama dello squalo bianco ed è decisamente più spietato.

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