La Nuova Sardegna

Luigi Berlinguer: «La sinistra non è finita servono nuovi contenuti»

di Alessandro Pirina
Luigi Berlinguer
Luigi Berlinguer

L’ex ministro striglia il Pd: deve riprendere a fare politica a Roma e nei territori Sulle regionali in Sardegna: attenti a lasciare il palcoscenico a Di Maio e Salvini

21 agosto 2018
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SASSARI. La sinistra deve andare oltre i fischi di Genova, deve riuscire a riprendersi il ruolo da protagonista. Anche stando all’opposizione. Il Pd deve ritrovare la rotta per dare voce a quel popolo progressista che non si è estinto, ma che ha fatto altre scelte. L’appello al Pd arriva da uno dei suoi padri, Luigi Berlinguer.

Berlinguer, partiamo dai fischi ai funerali a Genova.

«Quello era un umore popolare che, per quanto di parte, va rispettato nella sua interezza. In questo momento il Pd sta raccogliendo i frutti della sconfitta seria del 4 marzo. Tutte le critiche e i malesseri presenti nella società è giusto che si esprimano perché questa severità ci deve aiutare a cogliere la dimensione e il senso profondo della sconfitta. Anche se in questo momento il Pd ha un atteggiamento che personalmente non condivido...».

A cosa si riferisce?

«Non ho condiviso l’atteggiamento assunto subito dopo la sconfitta e che si esprime nella frase rivolta alla destra: avete vinto voi e ora tocca a voi. Questo è profondamente sbagliato. Prima di tutto perché non ho grande fiducia in questa accozzaglia di maggioranza in cui i sentimenti antimeridionali del leghismo più egoista e il vuoto pneumatico di un movimento prevalentemente di chiacchiera non mi sembra ci possano garantire grandi risultati. Di fronte a questo scenario, senza presunzione, la mia osservazione al Pd è la seguente: siamo noi che dobbiamo fare, non fate vobis».

Al governo ci sono M5s-Lega.

«Certo, ma l’iniziativa concreta, pratica, non solo le enunciazioni, spettano a noi e dobbiamo da subito dire che fare, ma dobbiamo anche fare, visto che la destra ha vinto le politiche, ma noi siamo ancora pars magna nel tessuto del potere locale, che anch’esso si deve muovere per riscattare questo disastro».

Come giudica il segretario Maurizio Martina?

«Ne ho stima, mi piace, è una persona seria, e poi è il segretario. E allora noi dobbiamo chiedere al gruppo dirigente di impegnarsi da subito, a cominciare dalle sedi parlamentari, e a tutte le organizzazioni di partito sul territorio, perché sia la sinistra a stimolare, e laddove è istituzionalmente possibile a fare».

Era favorevole alla trattativa tra Pd e M5s?

«Sono stato consultato dal mio partito e mi sono pronunciato a favore. Poi ci siamo ritratti. Forse si è avuta paura che una trattativa politica venisse giudicata dalla base come un cedimento. Capisco la preoccupazione sul piano della tattica politica, ma se la trattativa fosse stata portata avanti con vigore e senza cedimenti avrebbe potuto evidenziare la responsabilità di un Movimento confuso e senza programma, sul cui risultato elettorale, tra l’altro, hanno pesato tantissimi voti di sinistra. Ma credo che ora stiano iniziando a ripensarci».

Ma perché oggi il Pd viene visto come la causa di tutti i mali?

«Non tutti ci vedono così. Ho conosciuto elettori che nel Lazio e in Lombardia hanno votato Pd alle regionali e 5 stelle alle politiche. C’è stato uno sdoppiamento attribuibile prima di tutto alla crisi profondissima della sinistra in Europa. La formulazione partita dalla metà dell’800 ha fatto il suo tempo. Partiti, sindacati, organizzazioni devono mettere in moto un impegno culturale e politico di ridefinizione di che cosa può essere oggi il socialismo. Dobbiamo rivedere le basi di pensiero e di azione politica, e di questo il partito non si sta occupando, mentre, insieme alla presenza quotidiana, dovrebbe essere il suo primo compito».

Quali devono essere gli obiettivi della sinistra di oggi?

«Non deve restare sola ma deve cercare tutte le forze interessate a un nuovo equilibrio sociale, a una nuova società. Poi deve puntare a un rapporto sempre più stretto tra lavoro e sapere. Tutti devono puntare a una qualifica del lavoro. Ecco una novità rispetto alla tradizione socialistica. Prima bastava il lavoro. Lo dice la Costituzione: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Non voglio che si cambi la Carta, ma mi accarezza l’anima che l’Italia sia una repubblica fondata non solo sul lavoro ma anche sul sapere».

Il Pd va sciolto?

«Va ridefinito. Al di là del nome, noi siamo la sinistra, la forza di progresso. Io sono contento di essere chiamato democratico quando penso a quello straordinario presidente che è stato Kennedy, ucciso perché voleva affermare negli Usa che bianco e nero sono lo stesso colore».

Che differenze ci sono con l’altra pesante sconfitta dei Progressisti del 1994?

«Oggi è più profonda la causa. Ed è quindi più impellente ridefinire la nostra identità».

Quale leader per la sinistra?

«Oggi c’è un gruppo dirigente ed è a quello che dobbiamo chiedere. È da loro e da chi ci crede che bisogna ripartire. Poi le figure inizieranno a emergere».

A febbraio si vota in Sardegna: secondo l’ex ministro Pisanu la campagna elettorale sarà dominata da Salvini e Di Maio.

«Dobbiamo evitare che sia così. Il Pd non solo deve presentarsi come amministrazione uscente ma anche con una rielaborazione di contenuti calata nella questione sarda».

C’è chi sostiene che il Pd dovrebbe presentarsi alle elezioni senza il suo simbolo.

«Non presentare il nome sarebbe un errore clamoroso. Dobbiamo allargare la coalizione ma senza nasconderci».

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