La Nuova Sardegna

La nuova legge rilancerà l’eden sardo delle officinali

di Antonello Palmas
La nuova legge rilancerà l’eden sardo delle officinali

Duecento le aziende impegnate, altrettanti gli ettari coltivati nell’isola Una cinquantina le specie utilizzate nei settori alimentare, cosmesi e farmacia  

26 agosto 2018
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SASSARI. Zafferano, mirto, elicriso e rosmarino, ma anche rosa canina, salvia e tante altre. La Sardegna è un paradiso per i cultori delle piante officinali, un settore che potrebbe rappresentare un importante sbocco occupazionale per l’isola con la raccolta e la prima trasformazione e che invece non viene valorizzato a sufficienza. Un vero peccato che questa terra, tanto ricca di specie endemiche e di qualità ottimale, non abbia mostrato sinora di credere davvero nello sviluppo di questo particolare ambito dell’agricoltura. Se sino a qualche anno fa, ad esempio, sembrava in netto vantaggio sulla Corsica, ora non è più così: i cugini francesi hanno messo la freccia mostrando maggiore decisione e cogliendo già i frutti. È accaduto persino che siano state acquistate attrezzature inutilizzate nella nostra isola da aziende collegate a una multinazionale transalpina del settore, creando un business importante. Ma la Francia, si sà, è molto avanti nel settore.

«Le specie officinali coltivate in Sardegna oggi sono una cinquantina, distribuite tra poco meno di 200 aziende (in Italia sono circa 3000), delle quali il 62 per cento si occupano di officinali in maniera importante, mentre le altre trattano prevalentemente di altri settori – spiega Bruno Satta, responsabile di Laore Sardegna – . Negli anni il numero di aziende è calato ma sono aumentate gli ettari coltivati, poco meno di 200, a indicazione di una maggiore specializzazione degli operatori». A fare la parte del leone sono lo zafferano e il mirto, le altre coltivazioni come elicriso e salvia sono staccatissime, e comunque variano a seconda della richiesta.

In generale col termine “piante officinali” si intende “l'insieme di tutte quelle specie vegetali che possono essere sfruttate, in funzione della specifica composizione chimica, per la preparazione di prodotti farmaceutici, cosmetici, liquoristici, di condimenti, di sostanze coloranti, di oli essenziali, di ingredienti per l'industria alimentare, di prodotti per la difesa delle colture”. È’ la definizione che ne fa la nuova legge nazionale, mentre sinora esisteva solo quella, un po’ vaga, del Regio decreto del 1931, non più rispondente alle nuove esigenze di una moderna agricoltura

Si parla quindi di un campo vastissimo e dalle numerosissime possibilità. L’isola ha d’altronde un clima ideale per il loro sviluppo, caldo e non troppo piovoso, con escursioni termiche anche ampie. E soprattutto l’ambiente è spesso incontaminato. E così abbondano piante come lentisco, rosmarino, corbezzolo, lavanda, eucalipto, ginepro, malva, mirto ed erica, utilizzate sia per le essenze odorose che per l’estrazione di oli essenziali sempre più ricercati in campo farmacologico e cosmetico. Un mondo, quello delle officinali, spesso al confine tra la medicina ufficiale e la stregoneria, dato che sono decine i guaritori in attività sparsi per i paesi dell’isola, gente che ha la fortuna di conoscere i segreti più reconditi di alcune specie e li mette a disposizione di chi ha bisogno.

Ma qui parliamo di altro e cioè delle possibilità non sfruttate dal mondo agricolo, che dovrebbe avere le capacità di utilizzare gli endemismi e la qualità ottimale offerta dal territorio. Ciò che manca sono i progetti specifici a sostegno del comparto che, con il contributo della comunità scientifica e del settore industriale, possano condurre ad uno sviluppo stabile, assicurando la necessaria soddisfazione economica ai produttori agricoli.

«In Sardegna si lavora bene, l’approccio è professionale, c’è rispetto per l’ambiente – assicura Satta – . Resta da risolvere il problema della raccolta da persone non qualificate provenienti da altre regioni per conto di aziende non sarde, sicuramente un fenomeno su cui occorre vigilare perché i danni possono essere notevoli. Ad esempio, la raccolta spontanea dell’elicriso fatta in maniera professionale potrebbe anche giovare, ma se gli interventi cesorei sono adeguati si rischia di depauperare il patrimonio erboristico del territorio. Un caso emblematico è quello della genziana, che nel periodo pre-bellico fu raccolta in maniera indiscriminata per rifornire ditte straniere, strappando la radice sino a renderla rendendola rarissima. Per fortuna la forestale l’ha salvata con i vivai. Anche col mirto si rischia di creare danni se chi raccoglie non è professionale. Una legge regionale potrebbe aiutare a disciplinare il settore».



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