La Nuova Sardegna

LA VOCAZIONE NON LA DECIDE SOLO UN TEST

di VANESSA ROGGERI

Eppure l’Italia è l’unico paese in Europa che contingenta l’accesso alla facoltà selezionando i candidati attraverso un test: 60 domande a risposta multipla che vanno dalla cultura generale alla...

09 settembre 2018
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Eppure l’Italia è l’unico paese in Europa che contingenta l’accesso alla facoltà selezionando i candidati attraverso un test: 60 domande a risposta multipla che vanno dalla cultura generale alla fisica e matematica. Il paradosso consiste nel fatto che per superare il test è richiesta una preparazione specifica e altamente elaborata che nessuna scuola superiore su territorio italiano potrà mai fornire (logica non è nemmeno materia di insegnamento). Quest’anno su circa 67 mila iscritti i posti disponibili sono 9779, una sproporzione inaudita che lascia spazio a molte perplessità derivanti da una incongruenza principale: studiare medicina risulta un privilegio per pochi, tuttavia il Servizio sanitario nazionale continua a lamentare una carenza sempre più cronica di personale. Negli ultimi 5 anni si sono persi 9 mila medici, secondo un semplice calcolo statistico nei prossimi dieci anni se ne perderanno 55 mila e la mancanza, come si può intuire, non verrà compensata dai nuovi laureati. Sempre secondo questa proiezione temporale, 30 mila laureati in medicina non avranno accesso alla specializzazione postlaurea perché la formazione degli stessi non solo non avviene all’interno del Servizio sanitario come nelle altre nazioni, ma è prerogativa dell’Università che impone il numero chiuso.

È una sorta di cane che si morde la coda in grado di produrre due effetti deleteri: la diaspora per il mondo degli italiani che intendono specializzarsi ed esercitare il mestiere, e condizioni di lavoro sempre più insostenibili per i medici operativi. Abbiamo capito che la preparazione è fondamentale, non si prescinde, ma che cosa significa essere medico? Può un test di 60 domande decidere chi tra quelle migliaia di giovanissimi sarà in futuro un bravo medico? La tenacia e l’inclinazione naturale allo studio forse, ma la vera vocazione e l’amore per il prossimo, oltre che per la scienza? Non c’è nulla di meccanico in quello che tra tutti è il mestiere più bello e complesso.

È dura rendersi conto di avere in mano la vita dei pazienti e non cadere, prima o poi, nella sindrome del Padreterno; mantenere larghe vedute e sentirsi umile strumento potenzialmente capace di alleviare le sofferenze altrui; non è da tutti assuefarsi alla morte e rimanere tuttavia empatico, non spersonalizzare il dolore e allo stesso tempo, per il proprio bene, cercare in ogni modo di non rimanerne schiacciato. Si tratta una continua messa in discussione di se stessi, la ricerca di un equilibrio che può forgiare, oppure distruggere, la capacità di giudizio e la forza d’animo del medico. Tutto questo non può essere previsto da un test a crocette e credo che debbano essere di altra natura le selezioni da mettere in campo per individuare chi possiede la giusta attitudine.

Del resto, solo il paziente potrà dire se il medico è bravo poiché “tra i medici molti lo sono per i titoli, pochi per i fatti”. Parola di Ippocrate.



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