La Nuova Sardegna

Tutti vogliono fare il vino: boom di richieste per i vigneti

Gianna Zazzara
Tutti vogliono fare il vino: boom di richieste per i vigneti

Il triplo delle domande rispetto agli ettari a disposizione. Caria: «Un successo» In 30 anni sparito il 70% dei filari: i diritti d’impianto venduti al Veneto

09 settembre 2018
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SASSARI. Al posto dei pascoli, filari di viti. Così potrebbe cambiare in un prossimo futuro il profilo della campagna sarda. La tendenza emerge dal boom di domande presentate in Sardegna quest’anno per le autorizzazioni di nuovi vigneti. Secondo i dati forniti dall’assessorato dell’Agricoltura, sono stati richiesti 1.000 ettari, più del triplo dei 274 circa che spettano ogni anno alla Sardegna, così come stabilito dalla normativa europea. A fare richiesta di nuovi vigneti, oltre alle aziende già affermate, sono stati soprattutto i giovani, decisi a sfruttare l’ottimo momento che sta vivendo il vino made in Italy.

«È un’inversione di tendenza che fa ben sperare – dice Andreino Addis, presidente di Assoenologi Sardegna – Anche se purtroppo non si potrà tornare ai numeri di 30 anni fa, quando la superficie vitata in Sardegna sfiorava gli 80mila ettari. Ora siamo scesi a 27mila, e sarà difficile recuperare i vigneti persi anche perché le regole della politica agricola comune sull’introduzione di nuovi impianti sono piuttosto severe». Ogni regione, secondo le regole del nuovo sistema introdotto dalla Ue nel 2016, ha diritto all’1% di superficie vitata, che corrisponde alla quota di incremento stabilita dalla nuova Pac per gli Stati membri. L’Italia possiede 650mila ettari, quindi il potenziale annuo di vigneti è di 6.500 ettari, da dividere tra tutte le regioni. Per quanto riguarda la Sardegna, che conta su 27mila ettari circa, quest’anno ne verranno concessi 264 circa.

Il ritorno alla vigna. C’è quindi una nuova tendenza a scommettere sul vigneto ma non si potrà mai più tornare ai fasti degli anni ’80. Come emerge da un rapporto di Laore sulla filiera vitivinicola, in Sardegna 30 anni fa c’erano quasi 80mila ettari di filari. Oggi appena 27mila. Il risultato è che oggi la produzione vitivinicola sarda è tra le più basse d’Italia: appena 466mila ettolitri nel 2017 a fronte degli oltre 5 milioni della Sicilia, degli 8 milioni e mezzo del Veneto e dei quasi 10 milioni della Puglia che, con i suoi rossi Primitivo e Negramaro, è la regione più produttiva Italia.

«Per la Sardegna sarà molto difficile scalare la classifica – ammette Addis – Le superfici vitate potranno aumentare di anno in anno ma coi limiti imposti dall’Unione Europea sarà impossibile eguagliare il Veneto o la Puglia per quantità di vino prodotto». Ma cos’è successo? Perché la Sardegna ha perso negli ultimi 30 anni quasi il 70% dei vigneti?

La compravendita dei diritti. La Sardegna è stata una delle regioni che più di altre ha utilizzato, negli anni ’80 e ’90, gli incentivi all’espianto offerti dall’Europa a causa di un surplus di produzione. Non solo. A un certo punto i viticoltori sardi hanno cominciato a vendere i loro diritti di reimpianto. Funzionava così: un viticoltore sardo vendeva un ettaro di terreno al produttore di un’altra regione che, ovviamente non proseguiva la produzione nell’isola, ma trasferiva i diritti di impianto a casa sua. Il risultato è stato un’emorragia di vigneti a favore delle regioni del nord, Veneto e Piemonte in testa. Nel 2016 la Ue ha deciso di bloccare la compravendita dei diritti (per poter impiantare vigneti ora servono le autorizzazioni), ma ormai il danno era fatto. Ma come mai i produttori sardi hanno preferito venderli i diritti, invece di acquistarli? «Il primo motivo è stato la mancanza di reddito soprattutto per chi vendeva uve e poi ha influito anche lo scarso ricambio generazionale», spiega un tecnico di Laore. Unica, magra consolazione è che la maggior parte dei terreni ceduti erano già stati estirpati. «Il 90% non veniva più destinato alla produzione di vino da tempo. Si è comunque perso un grande potenziale, ora bisogna ricominciare e non perdere più terreni». Purtroppo non sarà semplice. In base alla nuova normativa europea la Sardegna può contare su una “riserva” di soli 274 ettari l’anno. Per ritornare alla superficie vitata di trent’anni fa non basterebbe un secolo.

Ma dove sono finiti quei “diritti” che prima appartenevano alla Sardegna? «In gran parte in Veneto che, con lungimiranza, è riuscita negli anni a triplicare la produzione conquistando i mercati esteri col Prosecco e l’Amarone. Ovviamente è stato tutto il Mezzogiorno a farne le spese: fino a quando si poteva, i viticoltori del Sud hanno venduto le loro quote alle regioni del Nord». C’è chi, invece, al vino e ai vitigni sardi ci ha sempre creduto. Al punto da creare cantine di successo in grado di conquistare anche i mercati esteri. «Grazie al ricambio generazionale e all’innovazione tecnologica le nostre cantine hanno fatto passi da gigante nella valorizzazione delle qualità produttive – dice l’assessore Pier Luigi Caria – Ora dobbiamo accompagnare alla crescita della qualità anche le quantità prodotte per conquistare nuovi mercati».

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