La Nuova Sardegna

La peste suina ora fa paura e il mondo si affida all’isola

di Antonello Palmas
La peste suina ora fa paura e il mondo si affida all’isola

Esplode il virus dall’Asia all’Europa. E la Fao chiama Laddomada

17 settembre 2018
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SASSARI. Fino a qualche anno fa era una malattia sostanzialmente circoscritta a Sardegna e Africa subsahariana, dopo essere stata debellata in Spagna. Ma in pochi anni il quadro è cambiato, ora è allarme mondiale: la Peste suina africana si sta diffondendo in molte aree dell’Europa e dell’Asia. E accade che le autorità del pianeta si rivolgano a chi il problema lo conosce e sta per sconfiggerlo, la Sardegna, che diventa un punto di riferimento a livello internazionale grazie all’esperienza e ai risultati raggiunti.

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Alberto Laddomada, dal 2015 direttore dell’Istituto zooprofilattico sperimentale, dopo 18 anni nella commissione europea, dei quali 8 a capo dell’unità sanità animale, nei giorni scorsi è stato chiamato dalla Fao a Bangkok per partecipare a una ristretta task force che disegni le strategie contro la malattia. « Da 40 anni me ne occupo, sin da quando ero studente – spiega Laddomada – e tra i motivi per cui si sono rivolti a me c’è anche il fatto che conosco certi i meccanismi dopo 18 anni trascorsi a Bruxelles. E che in Sardegna abbiamo accumulato una notevole esperienza e rappresentiamo un po’ un elemento di speranza».

Il quadro internazionale è definito «preoccupante» dal direttore Izs: «Questa estate la situazione è peggiorata notevolmente in zone come Romania e Cina dove la malattia sta conoscendo una pericolosa evoluzione, di recente si segnalano casi anche in Belgio – dice Laddomada – senza considerare che in altri Paesi Ue interessati non ci sono miglioramenti e c’è parecchia apprensione». Spaventa soprattutto la situazione in Oriente, superpotenza che rischia grossi problemi di tenuta anche sul piano sociale nel caso la situazione precipitasse: è infatti «il maggior produttore e consumatore mondiale nel settore suinicolo, una crescita enorme negli ultimi 20-30 anni, grazie allo sviluppo, con molti contatti anche con paesi dell’area come il Vietnam», spiega il direttore dell’Izs.

Dal 2007 la Psa ha attaccato la Georgia invadendo l’est europeo (sino alla Siberia) e gli stati baltici, quindi è entrata in Romania (dove c’è il panico) e in diversi Paesi dell’ex cortina di ferro, il più recente è la Bulgaria. L’allarme in Belgio non è da sottovalutare, se la Psa dovesse entrare in Germania, sarebbe il caos. I maggiori analisti economici ormai tengono d’occhio il problema considerandolo cruciale (la Cina detiene metà del debito Usa). Ma alla Sardegna conviene, facendo un bieco calcolo commerciale, che il resto del mondo sia alle prese con la Psa? «No – risponde Laddomada –. Ora l’attenzione è molto aumentata. A maggio a Bruxelles Pigliaru aveva illustrato i passi avanti compiuti nell’isola, iniziando a ipotizzare il possibile allentamento delle misure restrittive al commercio. Decisioni che non si prendono dall’oggi al domani, purtroppo l’isola paga 40 anni di ritardi e riacquisire la fiducia dell’Ue non è semplice. E ora il peggioramento della situazione nel vecchio continente non ci aiuta, c’è maggiore prudenza. Siamo una piccola realtà produttiva, per giunta pericolosa dal punto di vista sanitario. Si sta confermando una malattia insidiosa e complicata da controllare. Tra l’altro si presenta in modo diverso nella varie regioni: se in Sardegna il cinghiale gioca un ruolo secondario, in Polonia è invece il principale vettore. In Belgio ancora non sappiamo, la conferma dei focolai è di pochi giorni fa. Da noi il vettore numero 1 è il maiale al pascolo brado, se risolviamo questo aspetto la Psa sparirebbe anche dai selvatici».

Tutto cambierebbe se l’isola potesse annunciare la vittoria sulla Psa: «Abbiamo fatto enormi passi avanti verso la completa eradicazione – dice Laddomada – e anche se c’è ancora molto da lavorare, la speranza non è più lontana e vediamo la luce in fondo al tunnel. Ci resta da dare l’ultima spallata, a quel punto le misure andrebbero revocate e si presenterebbe un’occasione unica di sviluppo per la Sardegna, anche nella lotta allo spopolamento. Tutti, allevatori compresi, dobbiamo impegnarci di più».

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