La Nuova Sardegna

Dietro il delitto forse un’allucinazione

Dietro il delitto forse un’allucinazione

Omicidio di Capoterra, in aula lo zio di Frailis: «Ossessionato da quel pappagallo»

18 settembre 2018
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CAGLIARI. «Non puoi sapere a sessant’anni come ti devi comportare... meno male che c’erano i testimoni, che possono riferire la verità»: parole di Ignazio Frailis, 2 maggio 2017, pronunciate nell’auto che lo conduce alla caserma dei carabinieri di Capoterra. Pochi minuti prima ha ucciso a coltellate la sessantenne Maria Bonaria Contu, la vicina di casa incontrata - attesa, per l’accusa - al parco Santa Lucia, al centro del paese. Imputato di omicidio premeditato, Frailis ha sempre parlato di insulti e di provocazioni, accusando la famiglia Contu di aver addestrato un pappagallo perché glieli ripetesse ad ogni passaggio sotto la finestra della famiglia. Quella frase pronunciata subito dopo il delitto lascerebbe uno spiraglio alla difesa, impegnata a smontare l’aggravante della premeditazione: ossessionato da quel pappagallo, quel giorno Frailis potrebbe essere rimasto vittima di un’allucinazione auditiva, potrebbe aver sentito parole che la vittima non ha detto e che nessuno, neppure le due testimoni oculari dell’omicidio, ha sentito. D’altronde gli elementi per minare la tesi del delitto preparato e commesso lucidamente ci sono e sono stati confermati ieri mattina nell’aula della Corte d’Assise dallo zio e convivente dell’imputato, l’insegnante e giornalista Dario Serra. Sottoposto a due ore e mezzo di domande da parte del pm Paolo De Angelis, del legale di parte civile Carlo Pilia e dei difensori Fabio Pili e Gigi Porcella, il testimone ha descritto il nipote - che era in aula - come un uomo pacifico, mai aggressivo, una brava persona che prima di finire in carcere dedicava gran parte della sua giornata alla cura dei gatti randagi, la sua passione. Serra ha ammesso che forse avrebbe dovuto prestare più attenzione alle ossessioni di Frailis. «Si sente il colpa?» gli ha chiesto il giudice Massidda. La risposta: «Sì, ora mi rendo conto di essere stato distratto, avrei dovuto valutare meglio il suo stato di salute quando mi parlava di quel pappagallo e degli insulti che gli rivolgeva». Il pappagallo era la sua ossessione, il suo incubo. Era convinto che la famiglia Contu l’avesse addestrato apposta per farlo soffrire.

Inquadrato in questo contesto, il delitto assume un colore diverso, sembra sfumare la tesi accusatoria dell’agguato e che quel gesto sanguinoso possa essere definito diversamente, un atto forse improvviso, compiuto da un uomo che mai prima di quel giorno aveva usato la violenza: «Ignazio andava ogni giorno al parco per seguire le colonie feline - ha riferito Serra - e il coltello, lo sapevo, l’aveva comprato anni prima». Parole sollecitate dai difensori, che hanno cercato di approfondire col testimone l’ambiente difficile in cui il delitto è maturato.

L’8 ottobre è in programma l’udienza che potrebbe rivelarsi decisiva per la valutazione dei fatti: davanti alla Corte d’Assise parleranno i periti d’ufficio e di parte, chiamati a stabilire in quale condizione mentale abbia agito Ignazio Frailis. Se la ricostruzione dell’omicidio non contiene incognite, la volontà di uccidere e le ragioni di quanto è accaduto sembrano ammettere margini sensibili di incertezza. Ed è su quelli che la difesa lavora, per arrivare a una sentenza meno severa. (m.l)

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