La Nuova Sardegna

Luisi pronto a dare la vita per i Curdi

di Mauro Lissia
Luisi pronto a dare la vita per i Curdi

Il racconto della guerra contro Daesh nelle conversazioni intercettate dalla Digos

19 settembre 2018
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CAGLIARI. Dopo appena quattro giorni dall’arrivo a Raqqua il nuorese Pierluigi Caria, chiamato Luisi nel mondo indipendentista sardo, era già in prima linea a combattere contro Daesh, il partito islamico. Il comandante del battaglione Mahir Bakirciyan gli voleva bene, era andato a fargli visita in ospedale quando il giovane era ricoverato per le ferite riportate nello scoppio accidentale di una bomba, provocato dal suo istruttore: gli diceva che era «praticamente uguale - racconta Caria a un amico, in una conversazione intercettata - ad un compagno morto... un martire». Decisissimo a lottare per la causa curda, Luisi era diventato uno di loro, inserito nell’International Freedom Battallion (YPG) comandato da Bakirciyan: «Alla fine mi volevano tutti un bè bene... mi vantavano». A leggere le carte dell’indagine si matura una certezza: c’è una forte componente ideologica nella scelta di Luisi, che mette a rischio la propria vita per difendere un popolo considerato oppresso. E’ un soldato libero, lui non parte dalla Sardegna per vendersi sul mercato dei mercenari, non cerca gloria effimera, non è un invasato. La sua è un’adesione che appare sincera e sostenuta da una disponibilità reale a combattere sul campo, mettendo in gioco la propria pelle: «Mi hanno fatto andare in un’operazione dopo solo quattro giorni che ero a Raqqa - racconta in un’altra conversazione - tipo c’era gente che ha aspettato per mesi... la prima volta che sono andato non ho fatto un gran cazzo, tipo ho portato una borsa un bè pesante, non so dentro che cazzo c’era». E’ un racconto impressionante nella sua sobrietà. Dopo la fatica del trasporto Luisi fa la sentinella in strada e sente fischiare le pallottole, vede i combattenti cadere: «E’ stata la prima volta che sono stato al fronte, ci sono stato tre volte, la terza per quindici-venti giorni». Tre mesi a Raqqa, due mesi prima che la battaglia finisse col ritiro dell’Isis: «Diciamo che mi sono fatto una mezza idea di cos’è la guerra, per capirlo veramente uno ci deve stare anni». Luisi si è fatto un’idea della guerra e i suoi compagni, arrivati da ogni angolo del mondo, devono aver capito come è fatto un sardo quando Caria si batte («ho gherrato a manetta») per evitare di essere destinato al battaglione arabo («non era politicizzato per niente... non gliene fregava un cazzo») e insiste per andare coi comunisti. Passa guai, viene abbandonato per un giorno senza passaporto in una città irachena ma alla fine ce la fa, consapevole della sua scelta: «Li i cazzi tuoi non esistono - spiega in una conversazione intercettata - se uno va di là per entrare all’interno un po’ delle YPG o YPJ... il suo corpo, la sua vita, tutto quanto quello che deve fare è del partito, non appartiene a lui, appartiene al partito». E la causa curda, nel suo caso, dev’essere abbracciata fino al punto di sacrificare la propria vita: «Se vale la pena di morire là? - risponde a un amico - io tutti i giorni che sono rimasto là speravo di riuscire a tornare a casa, proprio della serie non voglio morire in questo posto... però sì, ne vale la pena... ne vale la pena come uno ha una motivazione forte... comunque vede la lotta del popolo curdo come se fosse sua... proprio allora lì è come se stai morendo per cosa tua... per la tua terra... non c’è differenza». Ma questa forte idealità che ispira Caria, le sue motivazioni, la sua voglia di combattere l’Isis rischiando di non vedere più la Sardegna, per il Consiglio d’Europa non sono altro che terrorismo. Luisi lo sa e lo dice, quando spiega in un dialogo intercettato cosa sono il PKK e l’YPG. L’amico gli chiede: «Ma quindi le guerrigliere del PKK non sono quelle dell’YPG?». La risposta: «No, sono due organizzazioni diverse, però sono diverse perché se loro dicessero che sono del PKK, il PKK è un’organizzazione terroristica e di conseguenza gli americani non gli potrebbero dare nessun aiuto. Però in pratica è la stessa cosa». Quest’ultima frase è sottolineata ed evidenziata nel decreto di perquisizione firmato dal sostituto procuratore della Ddat Danilo Tronci, perché sembra confermare la consapevolezza di Caria di aver aderito a un’organizzazione (l’YPG) formalmente separata dal PKK - è scritto nel decreto di perquisizione - ma sostanzialmente «entranea all’organizzazione terroristica». Questa consapevolezza è costata a Luisi Caria la perquisizione della sua casa di Siniscola, il sequestro del passaporto, del pc e dello smartphone, e una pesantissima accusa di terrorismo ancora tutta da valutare, discutere e provare.

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