La Nuova Sardegna

Agroalimentare e tecnologia, la tavola del futuro

di Simonetta Selloni
Agroalimentare e tecnologia, la tavola del futuro

A Oristano è in corso una tre giorni di confronti e workshop: in cattedra 127 scienziati del cibo 

20 settembre 2018
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ORISTANO. Nadine Feghali è una giovane libanese, al secondo anno di dottorato al Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari. Da due anni fa la spola tra la città e l’università di Beirut. Nel frattempo si è persino spostata a Bordeaux per Erasmus, per portare avanti la sua ricerca sulla identificazione e caratterizzazione dei lieviti che intervengono nel processo di fermentazione del vino “Merwah”, un bianco libanese le cui uve crescono a 1400 metri e sono resistenti al freddo ma anche agli attacchi dei parassiti. Anche lei è tra i 127 dottorandi che partecipano al XIII Workshop su “Developments in the Italian PhD Research on Food Science, Technology and Biotechnology”, iniziato ieri a Oristano per iniziativa del Dipartimento di Agraria dell’ateneo sassarese e dal Consorzio universitario Uno di Oristano. Un consesso scientifico internazionale di altissimo livello, che coinvolge 27 Università italiane. Un summit sullo stato della ricerca scientifica che incontra le tecnologie alimentari, per offrire a un settore dell’eccellenza italiana e non solo soluzioni, innovazioni. Valore aggiunto da spendere nel mercato globale. Per rendere possibile l’evento, si sono messi insieme istituzioni come appunto l’Università di Sassari e quella di Oristano (con i corsi di laurea in Tecnologie alimentari e Viticoltura e enologia, gemmati dal Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari e ora anche il corso di laurea magistrale in Qualità e sicurezza dei prodotti alimentari), ma anche Confindustria del Centro Nord Sardegna, il Comune di Oristano, Federalimentare, la Fondazione Sardegna (presente il direttore generale del Banco Cuccurese), tanto per citarne alcuni, e ben 26 imprese isolane del settore. Che sulla ricerca applicata hanno tutto da guadagnare.

«Se vi chiedono cosa fate, non esitate: siete degli scienziati», ha detto Paolo Giudici, del Dipartimento di Scienze della vita dell’Università di Modena e Reggio Emilia ai dottorandi che ieri affollavano l’Auditorium San Domenico, una dependance del Chiostro del Carmine, sede del Consorzio Uno. A introdurre il workshop, il direttore del Consorzio Uno, Francesco Asquer e il professor Antonio Piga, del Dipartimento di Agraria.

Allora, giovani scienziati ma con le idee ben chiare. E infatti per Nadine il suo studio «può migliorare l’attività delle aziende che producono vini o birre per i quali si utilizzano lieviti». I dottorandi, ben lontani dall’essere dei precari di lusso dell’istruzione, sono destinati a coprire ruoli in un mondo dove le imprese sono affamata di domanda di competenza. Parola del prorettore dell’Università di Sassari, Luca Deidda.

E ci crede anche Salvo Squatrito, Università di Catania. Dottorando al primo anno, «attempato», si definisce, visto che al suo lavoro di agronomo ha aggiunto l’impegno del dottorato. La sua ricerca riguarda il confronto tra i sistemi di produzione agricola, biologica tradizionale e integrata, in rapporto alle nuove certificazioni dei prodotti che hanno parametri aggiuntivi. L’obiettivo è capire quale sia il sistema più sostenibile per l’impatto ambientale; saperlo può fare la differenza in termini di costi e qualità delle produzioni. E così Bruno Tilocca, di Sorso, dottorando a Sassari, (nella facoltà i dottorandi sono sei, tre sardi e tre libanesi), concentrato sulla “Proteomica dei funghi produttori di micotossine”, uno studio che punta a capire le vie biosintetiche impiegate dai funghi per la produzione di sostanze altamente nocive per l’uomo.

Tre giorni di studio e presentazione, in inglese, dei progetti di studio dei dottorandi del terzo anno. Per gli altri, incontri, seminari, valutazione dei loro lavori. Domani, tavola rotonda sugli effetti delle ricerche nelle imprese alimentari. Al di là dell’assoluto valore scientifico del workshop, la città invasa da almeno duecento tra giovani scienziati e docenti. Ricerca, ma anche conoscenza di storia e culture che si incontrano e si intrecciano.

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