La Nuova Sardegna

Alimentare, il futuro è la ricerca

di Simonetta Selloni
Alimentare, il futuro è la ricerca

A Oristano tre giorni di dibattiti con 125 dottorandi provenienti da tutta Italia

22 settembre 2018
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ORISTANO. Ma i dottorati industriali possono dare davvero un aiuto alle esigenze di ricerca e sviluppo delle imprese alimentari? e se si, come? E ancora, le aziende alimentari sono consapevoli che il dottorando sia una risorsa per l’impresa o piuttosto lo vivono con una diffidenza che rasenta il fastidio? Domande alle quali ha cercato di dare spunti di riflessione la tavola rotonda conclusiva del XXIII workshop sugli sviluppi della ricerca svolta dai dottorandi nel settore dell’alimentare, una tre giorni che ha radunati 125 giovani cervelli della ricerca provenienti da 27 Università italiane a Oristano. Una tre giorni di altissimo livello scientifico organizzata dal Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari con il Consorzi universitario Uno di Oristano e il network nazionale dei dottorati di ricerca, assieme a associazioni di produttori, enti e privati.

Per tornare alla domanda iniziale, certamente i dottorandi sono utili ma al 34esimo ciclo dei dottorati non c’è ancora un vero raccordo tra mondo dell’impresa e mondo accademico. Lo ha ricordato Michele Pisante, consulente del Cluster Agrifood clan, che ha partecipato alla tavola rotonda assieme a Emanuele Marconi, dell’Univiersità del Molise, Marco Rau, Confartigianato e imprenditore, Giuseppe Ruggiu, presidente di Confindustria Nord Sardegna, e Michele Oralndo, direttore marketing Conad del Tirreno. Nonostante ci siano importanti strumenti a sostegno dei dottorati, attraverso il ministero dell’Università e ricerca, la sensazione è che le aziende non ne abbiano colto l’importanza: al punto che, ha spiegato Marconi, da venti anni impegnato a promuovere l’incontro tra capitale umano universitario e imprese, si fa fatica a farli accettare nonostante per le aziende siano praticamente a costo zero. E se il mondo dell’occupazione nei settori dove qualità, ricerca, sperimentazione e innovazione contano, richiede un apprendistato di terzo livello, la verità dei numeri per quanto riguarda l’effettivo inserimento nel mondo del lavoro dei dottorandi è sconfortante: secondo Almalaurea, solo l’11.40 per cento dei ricercatori trova collocazione nell’azienda dove svolge il suo studio. Ci sono esempi virtuosi come quello citato da Marco Rau, nella cui azienda si è realizzato un felice percorso con un giovane poi effettivamente incorporato nell’impresa. Tra i problemi, anche le piccole dimensioni delle aziende, il collegamento tra Università e imprese ancora da perfezionare, la mancanza di continuità dei percorsi che dovrebbero favorire l’incontro tra ricerca, formazione e produzione.

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