La Nuova Sardegna

In cella l’ex assessore regionale Marco Carboni. Colpevole di rapina e abusi sessuali

di Mauro Lissia
In cella l’ex assessore regionale Marco Carboni. Colpevole di rapina e abusi sessuali

La Cassazione ha confermato la condanna a nove anni di reclusione, deve restare in carcere

27 settembre 2018
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CAGLIARI. L’ex assessore regionale ai trasporti Marco Carboni è rinchiuso dal 26 settembre nel carcere di Uta. L’altra notte la Corte di Cassazione ha messo fine alle sue speranze di assoluzione e ha respinto il ricorso presentato dagli avvocati Leonardo Filippi, Denise Mirasola e Luigi Isolabella contro la sentenza di condanna a nove anni di reclusione emessa dal tribunale a novembre del 2014 e confermata dalla Corte d’Appello. Carboni, che ha 61 anni, è colpevole di rapina aggravata e violenza sessuale nei confronti della propria moglie, da cui era separato e con la quale aveva in corso una controversia sulla divisione del patrimonio familiare. Dopo la richiesta del procuratore generale, per il quale il ricorso doveva essere dichiarato inammissibile, e gli interventi delle parti civili patrocinate da Pierluigi Concas e Massimiliano Macciotta, i suoi difensori hanno preso la parola attorno alle due del mattino. Circa mezz’ora dopo i giudici penali supremi hanno comunicato la decisione, che mette fine a una vicenda giudiziaria molto dolorosa. L’ex assessore di Forza Italia, che di professione fa l’ingegnere, era libero dopo un anno trascorso fra carcere e custodia domiciliare nella villa di famiglia, a Nora. Ricevuta la notizia dai suoi difensori, ieri a fine mattinata si è presentato alla casa circondariale di Uta per scontare il residuo di pena: circa otto anni.

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Il fatto al centro del processo risale al 22 settembre del 2013, quando - stando alle sentenze - Carboni organizza una sorta di alibi facendosi vedere al Tennis club di Monte Urpinu, poi raggiunge la villetta di Selargius dove abitano la moglie e la figlia. Casco sulla testa e abbigliamento tecnico, l’ex assessore entra attraverso il cancello principale mostrando di conoscere il congegno d’apertura, il cane Paulette gli fa le feste e lui ricambia con carezze. Quando entra nel soggiorno di casa trova la moglie, la figlia, il suocero e la baby sitter: coltello in pugno, davanti agli sguardi sgomenti dei familiari che lo riconoscono dalla voce e dalle fattezze, finge un accento albanese, immobilizza tutti usando nastro da pacchi e costringe la moglie a salire in camera da letto. Qui, sotto la minaccia del coltello, la costringe a spogliarsi e abusa di lei. Quando la donna terrorizzata gli chiede pietà, lui risponde: «Perché dovrei avere pietà? Con me le donne non ne hanno avuto». Subito dopo si impadronisce di alcuni oggetti, secondo l’accusa per simulare una rapina, e se ne va. Pochi minuti più tardi la polizia è già sulle sue tracce e le indagini portano rapidamente all’arresto. La ragione del gesto, ai confini della follia, sarebbe la volontà di vendicarsi della moglie che gli aveva imposto la separazione. Sostenuto dai difensori, Carboni ha sempre negato ogni accusa. Ma fin dal primo grado di giudizio - il pm Diana Lecca aveva chiesto per lui la condanna a dieci anni - le testimonianze dei familiari l’hanno inchiodato alle sue responsabilità: nessuno fra di loro ha manifestato alcun dubbio sull’identità del fantomatico rapinatore, era sicuramente lui. E sulla certezza del riconoscimento ha pesato anche il comportamento del cane, che era solito abbaiare furiosamente contro qualsiasi estraneo ma andò incontro scodinzolando a quello che sapeva essere il suo vecchio padrone.

A marzo del 2012 Carboni era uscito grazie alla prescrizione dal processo per lo scandalo Ranno-Fideuram dopo aver incassato una condanna a otto anni per peculato, poi derubricato in abuso d’ufficio.


 

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