La Nuova Sardegna

Sassari, in nove con la klebsiella tra i pazienti lungodegenti

di Luigi Soriga
Sassari, in nove con la klebsiella tra i pazienti lungodegenti

I medici minimizzano, ma danno le indicazioni per arginare il contagio

27 settembre 2018
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SASSARI. Il responso è arrivato alle 13, ed è uguale per tutti i nove pazienti ricoverati. Recita così: portatore di enterobatteri produttori di carbapenemasi. Uno legge quell’arzigogolo di termini medici, e si fa il segno della croce. In pratica si sono beccati una variante di klebsiella pneumoniae (Kpc) che neutralizza gli antibiotici e li rende inefficaci.

Ma a dire il vero, nonostante la dicitura minacciosa, la vita di paziente, non verrà così stravolta. Non ci sono sintomi, non c’è infezione, e conseguenze immediate sulla salute. Anzi, per i vertici aziendali si tratta di ordinaria amministrazione, perché i germi fanno ormai del pacchetto base di ogni ospedale.

Sono i numeri, piuttosto, che lasciano perplessi: 9 ricoverati su 26 totali nel reparto di Lungodegenza risultano positivi alla prova tampone. Un terzo degli ospiti è colonizzato da batteri resistenti agli antibiotici. E si parla di uno dei pochi reparti che applica il test d’ingresso, dal momento che riceve pazienti in prevalenza dagli altri reparti per acuti. Quindi persone debilitate, con il sistema immunitario debole, o anziani particolarmente vulnerabili all’aggressione dei germi.

Il vero problema è che non si conosce il livello di diffusione del batterio all’interno dell’intera struttura, perché anche nei reparti maggiormente esposti, tipo terapia intensiva, ematologia, reparti internistici e pneumologia, la prova tampone non viene effettuata.

«Io ho scoperto di essere portatore sano di batterio solo quando ho messo piede in Lungodegenza – racconta un ricoverato – e da quel momento ho dovuto seguire duemila precauzioni. Lavarmi continuamente le mani, tenere a distanza le altre persone. Tutti accorgimenti che negli altri reparti non mi sognavo affatto di rispettare. Stringevo mani, toccavo cibo, abbracciavo i parenti. Ed ero un potenziale untore esattamente come adesso». Ed è per questo che i batteri, negli ospedali, sono degli inquilini fissi e impossibile da sfrattare.

Gli esami dicono che i 9 colonizzati non corrono alcun pericolo. La Kpc, può rivelarsi letale solo se attecchisce nei pazienti particolarmente debilitati. In quei casi, se sfociano in batteriemia, possono innescare delle setticemie. Ma questo si verifica solo in pazienti con gli anticorpi azzerati.

Dal momento che sarebbe impossibile (per ragioni di costi e di risorse umane disponibili), eseguire la prova del tampone rettale ad ogni ricoverato, l’unico antidoto ragionevole che gli ospedali adottano per arginare il fenomeno, è tirare a lucido le stanze, sanificare gli ambienti, isolare i colonizzati e predicare tra i pazienti, il personale e i parenti una igiene maniacale.

Ne hanno parlato ieri mattina in una riunione tecnica il direttore del presidio ospedaliero Bruno Contu, i dirigenti Emanuela Angius e Benedetto Arru, il direttore del dipartimento Medico Francesco Bandiera, il direttore di Lungodegenza Antonio Uneddu, il direttore del dipartimento delle Professioni sanitarie Pina Brocchi e il direttore di Igiene e controllo delle infezioni Paolo Castiglia.

E agli ospiti di Lungodegenza sono state distribuite delle brochure con tutte le prescrizioni in materia di pulizia e i divieti per i visitatori. Numero limitato in stanza, niente contatti se non si indossano guanti e sovracamice, men che mai sedersi sul letto o appoggiare oggetti sul comodino. E infine lavarsi le mani con gel battericida disinfettante prima di lasciare la stanza.

Ma l’opuscolo non dà l’informazione che tutti i pazienti vorrebbero sapere: «Per quanto tempo dovrò lavarmi le mani 20 volte al giorno, sentirmi un reietto e tenere a distanza amici e parenti?». E ancora: «Che probabilità ho di contrarre batteri, germi e virus ogni volta che vengo ricoverato in un reparto?». Purtroppo, durante le permanenze lunghe, con l’abuso di antibiotici e il fisico debilitato, le possibilità di colonizzazione sono alte, e i batteri spesso fanno parte dell’omaggio post dimissioni. È fisiologico, accettato statisticamente e praticamente inevitabile. C’è una magra consolazione: nelle residenze per anziani la percentuale di portatori di microrganismi resistenti rasenta il 50%. Nelle ciotoline di olive o arachidi per gli aperitivi da bar, i batteri ci ballano il reggaeton. E se uno si portasse dietro trenta tamponi rettali in piazza d’Italia, e facesse a caso il test ai passanti, probabilmente uno su quattro sarebbe positivo.

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